Una delle più grandi frane che può essere facilmente riconosciuta dalle immagini satellitari è quella di Saidmarreh nell’Iran occidentale provocata da un’esplosione di gas metano che sollevò in aria 12 km cubi di terra che seppellirono il letto dei fiumi Saidmarreh e Kashgan, provocando così anche grandi inondazioni.
La catastrofe di Saidmarreh ebbe luogo nel mesolitico, 11.400 anni fa, in una zona densamente popolata nel Luristan, Iran sud occidentale (lat. 33° 0′ N.; long. 47° 30′ E.) più o meno al 33° parallelo nord dove troviamo la congiunzione di due fiumi, il Tigri e l’Eufrate.
L’inglese James V.Kinnier Wilson, assirologo britannico, in uno studio ha confrontato i miti mediorientali e le fonti scritte più antiche con le carte petrolifere della British Petroleum con il preciso scopo di individuare e quindi ricostruire attraverso le fonti storiche un fatto storico eccezionale conosciuto dai geologi ed è arrivato alla conclusione che se impariamo ad interpretare le testimonianze contenute nei miti, ci sorprenderà l’enorme quantità di dati in essi contenuti.
Avvenimenti simili, veramente eccezionali, sicuramente sollevarono molti interrogativi oltre che generare grandi difficoltà tra i popoli del tempo che non avevano certo parole per definire o spiegare muri di fuoco e colonne di fumo che nascondevano l’orizzonte per giorni. Così le colonne di fuoco probabilmente divennero criniere di leoni, mostri ruggenti o l’esplosione d’ira di un gigantesco serpente e sono arrivati sino ai nostri giorni descritti molto dettagliatamente nei canti e nei racconti mitologici studiati da J.V. Wilson.
Tra gli effetti collaterali i miti descrivono l’oscurità assoluta, “in cui un uomo non vedeva suo fratello”.
I 12 km cubi di materiale scaraventati in aria hanno sicuramente continuato ad aleggiare in aria coprendo il Sole per un lungo periodo.
Probabilmente vera è anche la leggenda della grande alluvione contenuta nel ciclo di Gilgamesh (XI,111) e sulla base delle ricerche di J.V. Wilson ora sappiamo che il messaggio della grande alluvione e dell’acqua che brucia si è diffuso fino sulle coste del Mare Artico tra le popolazioni della Siberia settentrionale, anche se qualche mese fa su un sito russo è apparsa una notizia che ci ha parecchio incuriosito e potrebbe suggerire un’ipotesi diversa, cioè la frequenza di episodi simili in quella vasta zona che sembra essere sempre più la culla di tante civiltà che diedero origine a miti e leggende.
Il mistero dei crateri esplosivi in Siberia
In una remota penisola del circolo polare artico, esattamente la penisola di Yamal, enormi ferite stanno comparendo nel permafrost a seguito di violente esplosioni nel sottosuolo.
Enormi buchi appaiono dopo un’esplosione all’improvviso lasciando un segno irregolare nel paesaggio.
I pastori di renne locali hanno riferito di aver visto alte fiamme e fumo dopo l’esplosione.
Intorno al bordo del cratere, la terra è un miscuglio grigio e lacerato di ghiaccio e zolle di permafrost. Le radici delle piante, appena esposte intorno al bordo, mostrano segni di bruciatura. Dà un’idea di quanto violentemente si sia materializzato questo buco nel mezzo dell’Artico siberiano.
Dall’alto, la terra appena esposta si staglia contro la tundra verde e i laghi scuri intorno ad essa. Gli strati di terra e roccia esposti ulteriormente all’interno del foro cilindrico sono quasi neri e, quando gli scienziati lo raggiungono si va velocemente formando sul fondo una pozza d’acqua.
Tra i primi ad accorrere c’è Evgeny Chuvilin, geologo dello Skolkovo Institute of Science and Technology, con sede a Mosca, che è volato in questo remoto angolo della penisola di Yamal, nella Siberia nord-occidentale, per dare un’occhiata.
Questa buca profonda 50 metri potrebbe contenere la chiave di un puzzle che cerca di ricostruire da almeno sei anni, cioè da quando il primo di questi misteriosi buchi è apparso nella penisola di Yamal.
La prima buca, larga circa 20 metri e profonda fino a 52 metri, è stata scoperta da piloti di elicotteri che passavano sopra la tundra nel 2014, a circa 42 km dal giacimento di gas di Bovanenkovo.
Gli scienziati che lo hanno visitato, tra cui Mariana Leibman, capo scienziata dell’Earth Cryosphere Institute, che studia il permafrost in Siberia da oltre 40 anni, lo hanno immediatamente definito come una caratteristica completamente nuova nel permafrost.
L’analisi delle immagini satellitari ha poi rivelato che il cratere – ora noto come GEC-1 – si è formato tra il 9 ottobre e il 1 novembre 2013.
L’ultimo cratere è stato avvistato nell’agosto di quest’anno da una troupe televisiva mentre volava con un team di scienziati dell’Accademia delle Scienze russa durante una spedizione con le autorità locali a Yamal. Porta a 17 il numero totale di crateri confermati scoperti su Yamal e nella vicina penisola di Gydan.
Ma esattamente cosa sta causando la comparsa di questi enormi buchi nel permafrost e quanto improvvisamente si formino è ancora in gran parte un enigma.
Ricerche recenti, tuttavia, stanno ora iniziando a fornire alcuni indizi su cosa potrebbe provocarli.
Quello che è chiaro è che questi buchi non si stanno formando a causa di un graduale cedimento del permafrost che si scioglie e si sposta sotto la superficie, perché nascono da una grossa esplosione.
“Quando si verifica l’esplosione, blocchi di terra e ghiaccio vengono lanciati a centinaia di metri dall’epicentro“, afferma Chuvilin. “Ci troviamo di fronte a una forza colossale, creata da una pressione molto alta. Perché sia così alta rimane ancora un mistero”.
Chuvilin fa parte di un gruppo di scienziati russi, in collaborazione con colleghi di tutto il mondo, che ha visitato questi crateri per prelevare campioni e misurazioni nella speranza di capire meglio cosa stia succedendo sotto la tundra.
Ripercorrere l’evoluzione di questi cumuli e come arriva il gas è oggetto di uno studio intenso. “È intrigante che potrebbe essersi verificato un processo geochimico nuovo o precedentemente sconosciuto che non avremmo mai immaginato”.
I ricercatori abbastanza coraggiosi da calarsi nei crateri hanno trovato livelli elevati di metano nell’acqua che si accumula sul fondo, suggerendo che il gas potrebbe provenire dal basso.
Una delle principali teorie è che questi profondi depositi di gas metano sotto il permafrost trovino la loro strada fino ad una sacca di terreno non ghiacciata sotto la calotta ghiacciata.
Un’altra idea è che alti livelli di anidride carbonica disciolti nell’acqua in queste sacche non congelate inizino a fuoriuscire quando l’acqua inizia a congelarsi e l’acqua rimanente non può trattenere il gas disciolto.
Una fonte alternativa, sia di metano che di anidride carbonica, potrebbe essere costituita dai microrganismi che prosperano nella sacca non congelata del terreno, decomponendo il materiale organico e rilasciando i gas.
L’analisi isotopica del metano in un cratere particolarmente profondo sembra confermare questa ipotesi, ma l’attività dei microbi produttori di metano, tuttavia, è risultata particolarmente bassa nei laghi sul fondo dei crateri di recente formazione, anche per le condizioni fredde in cui essi si trovano.
Ma il metano potrebbe anche fuoriuscire dal ghiaccio stesso. I gas possono rimanere intrappolati all’interno dei cristalli d’acqua nel permafrost per formare uno strano materiale congelato noto come idrato di gas. Quando si scioglie, il gas viene liberato.
Indipendentemente dalla fonte, si pensa che il gas si accumuli nella sacca di terreno non ghiacciata, spingendo poi la calotta di ghiaccio verso l’alto di 5-6 m, fino a quando non si rompe.
Quando finalmente esplodono sono sicuramente spettacolari.
Fango e ghiaccio, insieme a gran parte del materiale nella stessa sezione non congelata, viene lanciato verso l’esterno fino a 300 m di distanza. La forza è così grande che blocchi di terra fino 1 m di diametro vengono lanciati verso l’esterno, lasciando dietro di sé un cratere con un bordo rialzato, un’ampia bocca e un foro cilindrico più stretto, che si pensa sia la sacca non congelata.
I pastori di renne locali hanno riferito di aver visto fiamme e fumo dopo l’esplosione di un cratere nel giugno 2017 lungo le rive del fiume Myudriyakha.
Gli abitanti dei villaggi della vicina Seyakha, un insediamento a circa 33 km a sud del cratere, hanno affermato che il gas continuava a bruciare per circa 90 minuti e le fiamme hanno raggiunto un’altezza di molti metri.
In un anno o due i bordi della ferita scura si erodono e si riempiono d’acqua.
In questa regione del mondo scarsamente popolata, che uno si trovi così vicino a un insediamento ha suscitato preoccupazione. La regione è anche disseminata di condutture per le infrastrutture del petrolio e del gas che cercano di raggiungere i giacimenti di combustibili fossili sepolti sotto il permafrost.
Si cercano segni di altri crateri nelle immagini satellitari ad alta risoluzione.
“Una volta trovato qualcosa che assomiglia a un cratere, utilizziamo immagini di serie temporali ad altissima risoluzione [immagini satellitari della stessa posizione scattate in momenti diversi] per cercare di capire quando si sono formate“, afferma il capo delle ricerche. Il loro lavoro sembra suggerire che esistano più crateri di quanto si credesse in precedenza.
Ci chiediamo a questo punto. Se questi fenomeni fossero sempre avvenuti nell’arco del tempo, come li avrebbero interpretati gli abitanti del luogo? È veramente possibile ricostruire la storia del passato analizzando i miti?
Nel prossimo articolo proveremo ad analizzare come reagirono le popolazioni Baltiche alla caduta del meteorite di Saarema.
https://www.bbc.com/future/article/20201130-climate-change-the-mystery-of-siberias-explosive-craters
Condivido in pieno il periodo in cui si afferma che la Siberia (soprattutto settentrionale e centro-settentrionale) sembra essere sempre più la culla di tante civiltà che diedero origine a miti e leggende. Dopo 11 anni di studi mi sento decisamente di togliere il “sembra” e mettere al suo posto “è”. Se mi avessero detto una cosa del genere 12 anni fa avrei crassamente riso. Oggi non rido più. Ho dovuto cambiare idea già alcuni anni fa