L’annuncio del ritrovamento dell’imbarcazione è venuto dal segretario di stato egiziano per le antichità Mohamed Ibrahim Ali, il quale ha spiegato che l’antica imbarcazione è stata rinvenuta ad Abu Rawash, località a circa otto chilometri a nord di Giza, nel cimitero della prima dinastia – Mastaba M06.
Della barca per ora sono stati recuperati solo undici pezzi facenti parte del fasciame. I due pannelli più grandi hanno una lunghezza di sei metri ed una larghezza di 1,50.
Il Dr. Mostafa Amin, Segretario Generale della SCA, ha spiegato che i resti lignei sono in cattive condizioni e saranno trasportati al centro di restauro del Grande Museo Egizio per essere analizzati al fine di ripristinarli utilizzando le tecniche più recenti. Successivamente il prezioso reperto sarà esposto al Museo nazionale della Civiltà Egiziana.
Il sito di Abu Rawash
Il sito di Abu Rawash, il cimitero dell’alba della civiltà faraonica, si trova all’estremità settentrionale della grande necropoli egiziana di Menfi, a circa 8 km a nord-ovest dell’altopiano di Giza.
Dal 2007, l’Institut Français d’Archéologie Orientale a Il Cairo, in collaborazione con la Macquarie University di Sydney, Australia, lo ha studiato con le sue grandi mastabe in mattoni di fango dell’élite della I Dinastia, e ha scoperto i resti di almeno altre 5 barche funerarie in legno e 8 sepolture secondarie intatte.
Due Barche solari sepolte accanto alla grande piramide
Ricordiamo che nel 1954 lo storico ed archeologo Kamal el-Malakh scoprì due barche solari all’interno di due pozzi sul lato sud della Grande Piramide.
Una di queste barche è stata restaurata a cura di Ahmed Youssef ed è stata esposta in una sala speciale accanto alla Grande Piramide.
Racchiusa in una camera ermeticamente sigillata, la barca era scomposta in 1224 pezzi ma il legno si è conservato intatto. Lunga circa 43 metri, ha cinque remi per lato più due a poppa con funzione di timoni. Per ricostruirla sono occorsi 13 anni
La seconda barca solare, invece, è rimasta nel luogo in cui è stata scoperta a causa delle cattive condizioni di conservazione. La barca è lunga 45 metri per 6 metri di larghezza.
Qual era la funzione delle barche solari?
Una delle domande alle quali si è cercato, tuttora inutilmente, di dare risposta è quale fosse la funzione di queste imbarcazioni.
Numerose sono le immagini di barche pervenuteci dalle tombe dei nobili che mutano leggermente l’aspetto con l’evoluzione religiosa, ma restano sempre immutabili alcune caratteristiche.
La barca veniva rappresentata fin dal periodo predinastico sempre a forma di mezza luna e con la poppa incurvata a forma di uncino.
Gli archeologi ufficiali ci dicono che la barca solare era, per gli Egizi, l’imbarcazione rituale che percorreva i due cieli trasportando il Sole rigenerato ogni giorno all’alba e diviene poi, con il dogma eliopolitano, simbolo religioso di rinascita dalla morte a nuova vita.
Il sole la mattina attraversava il cielo in dodici ore (o tappe) sopra una barca chiamata Mandet che lo trasportava da oriente a occidente, una barca che nelle rappresentazioni iconografiche appare con la prua bassa e con poco pescaggio, adatta ad una navigazione fluviale o costiera.
La seconda barca usata dal sole notturno, chiamata Mesketet, appariva invece con una prua alta e con più pescaggio, adatta cioè ad una navigazione in mare aperto.
Osservando tutto ciò che gli Antichi Egizi ci hanno lasciato, istoriato nelle tombe, trascritto su papiri o all’interno dei sarcofagi, notiamo che l’imbarcazione è sempre presente e aveva sicuramente un ruolo rilevante per questo popolo, ma troviamo imbarcazioni concrete solo nelle sepolture dell’alba della civiltà egizia.
Sorge spontanea una domanda: perché troviamo barche seppellite accanto ai reali e ai principali funzionari di questo primo periodo?
Proviamo a rispondere tenendo presente quanto affermato dal celebre egittologo e archeologo britannico Sir William Matthew Flinders Petrie.
Ritengo che la vera linea di ricerca sia costituita dall’annotare e confrontare i più piccoli dettagli…
Chi era il faraone Den?
Ci dicono gli esperti che la Barca trovata risale al 3000 a. C. circa, cioè quando sull’antico Egitto regnava il faraone Den della I dinastia, proprio l’alba dell’Egitto.
Il faraone Den, (in egizio D n; … – 2995 a.C.) conosciuto anche come Hor-Den, Dewen e Udimu, regnò durante la prima dinastia per 20 anni, secondo lo storico greco Manetone, mentre la maggioranza degli egittologi stima la durata del suo regno a circa 40 anni affidandosi alla Pietra di Palermo, una stele che riporta informazioni sull’antico Egitto e che è conservata nel Museo archeologico regionale Antonio Salinas, appunto a Palermo.
Titolatura
Durante il suo regno compaiono, nella titolatura, due elementi che in seguito diverranno tipici della sovranità:
- la cosiddetta doppia corona (nebti, le due Signore – Le due Potenti)
- l’altra è un titolo il cui significato letterale è Colui che appartiene al giunco ed all’ape ma che in effetti significa Re dell’Alto e Basso Egitto.
Navi nella sabbia – tomba 100 a Nekhen / Hierakonpolis
Fu l’archeologo Frederick W. Green a scoprire la “tomba 100”, nell’inverno 1898-1899, in una necropoli dell’antichissima città egizia di Nekhen, più tardi chiamata dai Greci Hierakonpolis, “città del falco”.
Il cimitero era costituito da ben 150 sepolture e una di esse, situata nell’area sud-est, presentava un dettaglio particolare: le sabbie avevano preservato la pittura murale di una parete, una raffigurazione a colori dal significato sconosciuto che avrebbe suscitato negli anni a venire vivaci discussioni in ambito accademico e, di recente, anche fuori di esso. Il problema è il soggetto dell’affresco: grandi navi arenate nella sabbia, scene di conquista, prigionieri morti o incatenati.
Chi erano questi navigatori dalla mazza facile? I Compagni di Horus?
Questa raffigurazione ha causato infinite diatribe e i preziosi frammenti originali sono stati quasi nascosti, relegati in una sala al piano superiore del Museo Egizio del Cairo, lontano dalla vista della maggior parte dei visitatori. Assopiti in un angolo buio, dietro un vecchio vetro impolverato, in un corridoio di passaggio.
Eppure l’affresco nella tomba di questo signore sconosciuto appartenente alla preistoria egizia, (3500 – 3200 a.C.) sembra essere molto importante, un momento decisivo della storia delle Due Terre, forse, l’avvenimento traumatico della conquista del territorio egiziano con le navi dei conquistatori.
Nessuna informazione concreta ci è giunta dal proprietario della tomba 100, il defunto, poiché i pezzi di valore del suo corredo funerario non erano più lì. Trafugati.
Purtroppo Frederick William Green portò alla luce una sepoltura già saccheggiata dai tombaroli. A suo tempo l’egittologo scrisse:
(…) la tomba è stata saccheggiata, le mura in situ presentano tracce di zappa e tutti gli oggetti di valore sono stati rimossi.
Solo la pittura muraria era rimasta a testimoniare l’importanza del morto eccellente.
Green rimosse con cura i frammenti dell’affresco che fece trasportate al Museo del Cairo. Prima, però, aveva provveduto a realizzare una copia del dipinto in grandezza originale e questo si trova oggi al Griffith Institute di Oxford.
Osservando con attenzione la copia si nota un tema comune alla base di tutte le scene rappresentate: il dominio, il dominio di uomini e animali, un dettaglio in alto a sinistra mostra un uomo con il bastone alzato nell’atto di comandare due cani da caccia. Ma gli uomini armati di mazza non minacciano soltanto gli animali.
Un altro dettaglio in basso a sinistra mostra un uomo (apparentemente dal colore bianco) con il braccio minacciosamente alzato contro tre prigionieri dal colore scuro in ginocchiati, legati. Altri due individui in piedi davanti a queste persone, con i bastoni alzati, sembrano dare man forte all’aggressore. In basso, circa nel mezzo della pittura, altri uomini combattono fra loro. Uno di essi, stranamente dipinto con il colore bianco, ha ucciso la sua vittima dalla pelle scura rappresentata a testa in giù, con uno spruzzo di sangue che schizza verso l’alto. Accanto a questa scena, si vedono tre donne prigioniere, legate e in ginocchio. Non ricordano, queste rappresentazioni, il tipico gesto di Narmer e dei faraoni, quello del re che colpisce il nemico? L’atto distintivo dei Compagni di Horus?
Sabina Marineo, Prima di Cheope – Le Origini
Grandi navi dominano la scena
Le navi sono sei, cinque bianche e una nera.
La riga che separa il grande affresco dallo sfondo ocra e la fascia dipinta in blu/verde scuro non doveva avere soltanto valore ornamentale, ma anche un significato ben preciso. Era acqua. E le sei navi non erano raffigurate in acqua, bensì sulla sabbia. Navi giunte forse dal mare?
Tutte e sei le navi dispongono di cabine, sui cui tetti sono visibili costruzioni arcuate che potrebbero essere servite all’applicazione di alberi oppure all’inserimento di remi.
Una delle navi esibisce anche uno stendardo. Su tre delle imbarcazioni è ben visibile, nel mezzo, una sorta di rettangolo che potrebbe indicare la presenza di un’apertura per il comodo imbarco di passeggeri, merci o bestiame.
Una delle navi bianche, la più grande, presenta sopra una delle cabine una costruzione a baldacchino che fa intravedere la sagoma di una persona seduta al suo interno, inoltre per la sua forma e la presenza di timone e timoniere sulla destra, possiamo dire che si tratta di una nave di legno e non di giunco, come le classiche imbarcazioni fluviali egizie.
Possiamo ipotizzare lo stesso anche per le altre cinque navi? Giungevano tutte dal mare? Erano navi di conquista? Se sì, è forse per questo che i primi faraoni aggiunsero alla propria tomba l’elemento della nave?
Nasce spontanea una domanda:
E se non si fosse trattato, originariamente, della simbolica barca del sole, bensì del ricordo di quelle prime imbarcazioni dei conquistatori, forse i Compagni di Horus, che giunsero via mare da terre lontane?
Proseguiamo l’osservazione dei particolari come raccomandato da Sir William Matthew Flinders Petrie, nel prossimo articolo.
Fonti:
https://www.archaeology.wiki/blog/2013/07/10/funerary-boats-discovered-in-abu-rawash/
Sabina Marineo, Prima di Cheope – Le Origini