Secondo l’egittologia ufficiale le piramidi sarebbero state costruite da un faraone della IV dinastia, Cheope (Khufu), che costruì le Piramidi di Giza in un arco di tempo di 85 anni, forse compreso tra il 2.589 e il 2.504 a. C., ma, ultimamente, alla luce di moderni studi, questa datazione sta divenendo sempre meno difendibile anche dall’ortodossia archeologica più intransigente.
Le fonti storiche
La Grande Piramide sulla piana di Giza è da sempre stata oggetto di stupore e meraviglia, ma vediamo cosa ci dicono, sull’argomento, le fonti storiche dei Greci.
Erodoto
Erodoto, vissuto nel V secolo a. C., fu un ottimo “reporter” del suo tempo, sempre pronto ad offrire la sua penna ai racconti e alle dicerie dei popoli. Nel suo Storie, II egli ci dice che alcuni lavori sulla Grande Piramide sarebbero stati eseguiti da un certo Cheops.
Erodoto, inoltre, così si esprime in merito alla costruzione della piramide:
La piramide in se stessa era stata costruita così, a forma di ‘gradoni’ che alcuni chiamano κρόσσας (Krossas), altri βωμίδας (bomidas). Avendo dapprima tale forma (Toiauten to proton), successivamente (epeite), essi costruirono essa.
(Storie II, 125,1)
Se esaminiamo con attenzione le parole di Erodoto, ci accorgiamo che egli usa due frasi particolari per definire le piramidi, ricche di informazioni preziose.
1.A) “era stata costruita così”: Erodoto usa qui la 3^ persona del passivo imperfetto del verbo greco ποιέω, (poieo), “Fare, Costruire” .
L’imperfetto viene abitualmente usato per indicare un’azione che non si è del tutto compiuta, quando qualcosa non si è ancora perfezionato.
1.B) “a forma di gradoni che alcuni chiamano KROSSAS altri BOMIDAS“.
Nell’Iliade (12, 258 e 444) il termine Krossai (derivato dall’indo-europeo Qroqia) è relativo ad una struttura, una palizzata, alta circa 2,5 metri, costruita dai greci con pali di legno legati fra loro con corde e terra interposta, a protezione delle loro navi, insabbiate a riva ad una certa distanza da Troia. In Krossas, quindi, predomina il concetto di altezza, ed Erodoto, perciò, scrivendo Krossas è sicuro che i suoi lettori comprenderanno che si parla di gradoni dalla struttura alta, con un andamento verticale e perpendicolari al suolo.
Subito dopo lo storico aggiunge bomidas, che per i greci rappresentava lo spazio davanti all’altare (Bomos), pianeggiante e ampio, dove si collocava il sacerdote od officiante per celebrare le cerimonie religiose.
Ricapitolando, con due parole, tipiche del background culturale lessicale dei greci e da loro conosciute, Erodoto ci informa che la piramide aveva, in precedenza, un assetto a gradoni larghi ed alti circa 2,5 metri, con una struttura del tutto simile ad uno ziggurat mesopotamico.
La seconda frase redatta da Erodoto è collegata alla prima da un evidente trait d’union lessicale.
2.A) “…(la Piramide) avendo dapprima tal forma, successivamente…”
Ad essa segue la descrizione della costruzione.
2.B) “essi (riferito a Cheope ed ai suoi operai) costruirono essa”: Erodoto usa, in questo caso, la 3^ persona plurale dell’aoristo attivo.
L’aoristo viene usato per indicare un’azione senza una precisa indicazione di tempo, anche se spesso viene collocata in un passato.
Non appare, quindi, davvero un caso che nelle due frasi del testo greco, reciprocamente fra loro coordinate, vediamo che:
- i due verbi siano posti all’inizio ed alla fine della frase
- vengano usati 2 modi verbali differenti (imperfetto ed aoristo)
- con due modalità diverse di azione (attivo il primo e passivo il secondo)
- vi siano due persone differenti (3^ singolare nel primo, 3^ plurale nel secondo).
Come possiamo notare, il povero Erodoto usa tutti i mezzi linguistici della sua lingua, il greco, per farci capire la differenza strutturale esistente, nella costruzione della Grande Piramide, tra un “Prima” (“Krossas” + “Bomidas”) perso nella notte dei tempi (3^ persona singolare passiva); ed un “Dopo” (lavori successivi) fatti in un’epoca relativamente precisa e più recente (3^ persona plurale attiva = Cheope ed i suoi operai).
Lo stesso Erodoto ci informa, successivamente, che cosa fece il re che lui chiama Cheope. Furono messi a punto dei lavori di riempimento dei ‘Gradoni’ alti e larghi, mediante blocchi di calcare bianco estratto a Tura, che si trova sulla sponda destra del Nilo, proprio di fronte a Giza, di dimensioni relativamente contenute.
Fu anche effettuato, da ultimo, anche un rivestimento esterno mediante lastre di calcare, lisce e relativamente sottili, che riflettevano relativamente la luce del sole, rendendo le Piramidi della piana di Giza visibili a molti km di distanza.
Questa meticolosa opera di rivestimento, ci racconta lo storico, fu realizzata usando un macchinario fatto di Legni corti (ξυλών βραχεών), usato per sollevare i blocchi da un ordine di gradini all’altro. Secondo altre versioni – ci dice lo stesso Erodoto – c’era, invece, una macchina sopra ogni livello, secondo altri, infine, la medesima macchina era maneggevole e veniva spostata, dopo essere stata smontata e rimontata, da un piano all’altro. Erodoto, da buon ‘reporter’ dell’epoca, riporta entrambe le versioni, senza pronunciarsi a favore di una o dell’altra. Appare intuibile che, in base alla corretta lettura del testo greco, tutti i ‘gradoni’ larghi ed alti erano già stati costruiti nella piana di Giza.
Egli dice, infine, che fu ultimato il lavoro di copertura con lastre lisce, partendo dall’alto e scendendo via via sempre più in basso, fino a giungere alla copertura a livello del terreno e nelle zone sottostanti. Analogamente a prima, anche qui appare intuibile che tutta la struttura della Grande Piramide a ‘gradoni’ larghi ed alti, era già collocata sulla piana.
La struttura a lastre lisce oblique è ancora visibile sulla parte apicale della Piramide di Khefren (Khafra) o nella parte inferiore della Grande Piramide, quasi a livello del suolo.
È forse possibile che, originariamente, anche le piramidi di Giza fossero state edificate a gradoni come quelle mesopotamiche o quelle sparse per il mondo od in Meso-America,come ad esempio la piramide del Sole o della Luna di Teotihuacan in Messico?
Diodoro Siculo
Diodoro Siculo visitò l’Egitto tra il 60 e l’80 a.C. e, come aveva fatto Erodoto, menzionò le piramidi di Giza nel suo Biblioteca storica.
L’erudito storico, a differenza del ‘reporter’ Erodoto, ci informa, a livello metodologico, di aver tratto le sue informazioni direttamente dagli archivi storici locali, all’epoca ancora a disposizione di chi li voleva consultare. La sua è sicuramente una visione molto più accurata dal punto di vista dell’analisi documentale.
Dal primo libro del suo Biblioteca (1, 63) ricaviamo informazioni essenziali, molto precise e minuziose su quando furono fatti lavori sulla Piramide che, per certi aspetti, confermano quanto scriveva Erodoto, ma aggiungono anche ulteriori informazioni.
Egli afferma, con un suo certo imbarazzo emotivo, di aver trovato nelle biblioteche da lui consultate, due riferimenti cronologici diversi, inerenti lavori effettuati sulla Piramide, rispetto alla sua epoca. In un caso di fonti a lui pervenute secondo una trasmissione orale, si parla di meno di 1.000 anni prima rispetto all’epoca in cui egli visitò l’Egitto. Nell’altro caso, invece, Diodoro si riferisce a documenti scritti d’archivio che egli aveva avuto la possibilità di consultare, dove viene riportata una data di 3.400 anni prima della sua epoca, che ricordiamo essere compresa fra il 60 e l’80 a.C.
Ricerche d’archivio fanno dire, pertanto, a Diodoro che:
“Non meno infatti di 1000 anni, come dicono (os fasi), sono trascorsi fino alla nostra epoca, o come taluni scrivono (os enioi grafousi) più di 3.000 e 400 anni…”
Servendoci della datazione dell’opera di Diodoro Siculo (collocata nel 60-80 a. C.), possiamo dedurre come Diodoro citasse fonti orali che parlavano di lavori compiuti sulla Grande Piramide nel 1.060-1.080 a.C., unitamente a fonti scritte di archivio, più antiche, che parlavano di lavori sulla Piramide effettuati nel 3.470-3.490 a.C.
Possiamo, pertanto, affermare che Diodoro Siculo parlava di un re egizio, collocato cronologicamente nel 1.060-1.080 a . C. che aveva lavorato alla Grande Piramide, e che, nel testo greco, veniva detto regnare dopo Remfis (Ramses II il Grande, della XIX Dinastia) e dopo 7 re inetti, (Faraoni ramessidi, della XX Dinastia). L’ottavo re (della XXI Dinastia), aveva poi fatto i lavori alla Piramide:
“Succedette al trono il figlio Remfis…Morto costui, per 7 generazioni ereditarono il potere dei re assolutamente neghittosi, i quali erano totalmente dediti all’indolenza ed al lusso…Ottavo re fu Chemmis di Menfi, che governò per 50 anni e completò (κατεσκευάσε) la più grande delle 3 piramidi.”
Biblioteca storica, 1, 62-63
Il verbo greco κατασκευάζω (kataskeuazo), qui usato da Diodoro nella 3^ persona singolare dell’aoristo, significa “apparecchiare, abbellire, ornare, preparare, arricchire, mettere in ordine, completare” ed è sostanzialmente diverso dal verbo ποιέω (poieo) “Fare, costruire”. Questo vorrebbe significare che la Piramide c’era già e che Chemmis l’aveva solo abbellita o completata, in totale accordo con Erodoto.
Dello stesso tenore, seppure in forma molto più spartana e sintetica, sono le affermazioni del ‘reporter’ Erodoto, che colloca cronologicamente il periodo storico del ‘suo’ Cheope ad un generico ‘dopo’ il regno di Rampsinito, (altro nome con il quale era conosciuto Ramses II il Grande presso i greci):
“Fino al regno di Rampsinito…ma Cheope, che governò dopo di lui…”
Storie 2, 124
Entrambi gli autori greci, quindi, collocano il re che fece dei lavori alla Grande Piramide in un’epoca successiva alla XIX Dinastia, (per Diodoro, durante la XXI Dinastia).
Interfacciando le informazioni ottenute dai due autori greci possiamo, eventualmente ipotizzare uno scenario di questo tipo:
- Un intervento effettuato nel 3.470 – 3.490 a.C., quando venne costruita qualcosa di simile ad una ziggurat a gradoni larghi ed alti, (Krossas e Bomidas)
- Un intervento espletato intorno al 1.060 – 1.080 a.C., quando questa specie di ziggurat venne ristrutturata con gradini più piccoli e ricoperta, infine, di lastre di calcare, assumendo la forma che è poi arrivata fino a noi.
Vediamo quindi che la posizione dell’egittologia ufficiale, che pone la costruzione delle piramidi di Giza intorno al 2.500-2.700 a C., stona con le informazioni dei 2 storici greci, che, in ogni caso, si erano recati in Egitto, rispettivamente, 2.500 e 2.100 anni fa.
Ma Erodoto e Diodoro Siculo chiamano i 2 re che avrebbero compiuto i lavori sulla Grande Piramide in modo differente. Curiosamente, a riprova della bontà del lavoro dei due storici greci, questi nomi hanno un reale corrispettivo nelle fonti egittologiche di faraoni connessi con una costruzione della Piramide.
Erodoto, infatti, parla di Cheops, allitterazione greca del geroglifico Khufu, mentre Diodoro Siculo, invece, chiama il re, come Chemmis, correlato a geroglifico Khnem(ba) Khefu.
Come possiamo vedere, peraltro, i due nomi egizi sono quasi identici fra loro: Khufu e Khefu, preceduti, in un caso dall’appellativo di Khnem (ba), adottato da Diodoro, dove il simbolo geroglifico del“Vaso, Khnem, connesso al dio Khnum, è accompagnato da quello dell’Ariete, talora fonetizzato come Ba, ma, come in questo caso, con la probabile funzione di determinativo, e, per tal motivo, non pronunciato.
Per gli egittologi i due nomi Khufu e Khefu sono del tutto intercambiabili fra loro, ma abbiamo qualche dubbio, in accordo con quanto dichiarato dal padre dell’egittologia inglese, il grande sir William Matthew Flinders Petrie (The Pyramids and Temples of Gizeh, cap. 17, par. 113):
“Il costruttore della Grande Piramide di Gizah è ben noto Khufu…ma un altro nome è stato trovato nei blocchi della Piramide, fianco a fianco con quelli che recavano il nome di Khufu. Questo nome è lo stesso di quello di Khufu con due geroglifici che lo precedono: il vaso ed un ariete ed è reso come Khnumu Khufu. La teoria più distruttiva inerente questo re è che sia lo stesso di Khufu…Su monumenti a Gizah e nello Wadi Maghara, che presentano il nome di Khnumu Khufu è presente, con titoli diversi, anche il nome di Khufu, fatto pienamente possibile se essi fossero stati re co-reggenti.”
Quindi 2 nomi per 2 diversi faraoni.
Questa reale duplicità di nomi di faraoni non solo viene confermata dalle liste dei re che troviamo in alcune tombe faraoniche, ma si trova, del tutto inaspettatamente, quasi identica, all’interno dei cosiddetti e controversi marchi da cava, in ocra rossa, recanti, in forma un po’ grossolana, dei cartigli regali.
Tali cartigli furono rinvenuti all’interno di alcuni di locali, impropriamente chiamati Camere di scarico, posti sopra la Camera del Re, all’interno della Grande Piramide. In realtà queste camere, dalla funzione ignota, non solo non servono da scarico, ma, anzi, sarebbero sottoposte, nonostante il soffitto di granito di ognuna di esse, ad un’enorme pressione, indotta da tutte le pietre sovrastanti, che costituiscono la struttura stessa della Piramide. In realtà, lo scarico è assicurato soltanto dalla robusta presenza di 2 blocchi di calcare, contrapposti a lambda (Ʌ).
Al di sopra del soffitto della Camera del Re, infatti, sono stati realizzati cinque comparti, il primo dei quali scoperto già nel 1765, fu chiamato Camera di Davison. Questi bassi locali, la cui altezza oscilla fra 80 e 120 cm, furono esplorati dal colonnello Howard Vyse, che ne sospettò l’esistenza e inserì un lungo palo attraverso una crepa nel soffitto della Camera del Re. Le altre camere di scarico furono, pertanto, esplorate tra il 1837 e il 1938 dal Vyse e da John Shae Perring, che scavarono un tunnel verso l’alto usando dell’esplosivo. Dall’inferiore alla superiore questi locali sono denominati Camera di Wellington, Camera di Nelson, Camera di Lady Arbuthnot e Camera di Campbell.
Questi cartigli, si ritiene in molti ambienti, sarebbero stati artificiosamente dipinti sui blocchi di calcare dal colonnello Vyse e dai suoi aiutanti, dopo che essi avevano forzato l’ingresso con la dinamite, con l’intento di dare una maggiore credibilità storica al loro ritrovamento.
Tuttavia, come evidenzia Graham Hancock (The official Graham Hancock.com forums), poi confermata anche da Robert Bauval, l’ipotesi che il colonnello Vyse ed i suoi aiutanti avessero intenzionalmente istoriato le pareti interne delle camere dopo esservi penetrati mediante l’uso della dinamite, è contraddetto dal fatto che vi è un cartiglio di Khnem (ba) Khefu proprio nel punto preciso in cui il blocco di calcare è stato spezzato e distrutto dalla carica di dinamite usata da Vyse per entrarvi, come riferisce l’egittologo Petrie (opera citata, cap. 7, par. 63):
“(Nella seconda Camera) Sulla parete est… vi è un grande cartiglio di Khnumu Khufu quasi completamente spezzato dall’entrata forzata di Vyse.”
Questo a dispetto dell’affermazione falsa che la parte est della camera, forzata da Vyse, sarebbe priva di cartigli.
Oltre a ciò, lo stesso Hancock potè constatare personalmente, grazie alla disponibilità di Zahi Hawass, che i cartigli erano talora parzialmente presenti anche nella parte del blocco di calcare che finiva sotto il blocco di granito o di calcare della camera stessa. Infine, alcuni di questi rozzi cartigli, oltre che in orizzontale ed in verticale, sono stati trovati disegnati capovolti, sopra i blocchi, cosa che complicherebbe la loro potenziale realizzazione artificiosa da parte di Vyse e soci.
Collegamenti con Cefeo?
Abbiamo visto che uno dei cartigli, trovati nella Grande Piramide e nelle liste regali reca il nome Khefu, con soli 3 simboli geroglifici, viene equiparato dagli egittologi al re Khufu, con 4 simboli geroglifici. Ma per le regole fonetiche egizie il nome Khefu può essere fonetizzato come Khefeu, che è quasi identico al re Cefeo (Κηφεύς).
Curiosamente, e, forse, accidentalmente, il re Cefeo, era un sovrano etiope, marito di Cassiopea e padre di Andromeda, aveva un regno che si estendeva fino a Joffa, quasi al confine orientale dell’Egitto, sul mar Mediterraneo. Il sovrano aveva chiesto un consulto all’Oracolo di Ammone (l’egizio Amun) a Siwa, nell’odierno deserto libico. La sua vicenda si incrocia, a causa dell’orgogliosa sposa Cassiopea, e della bella Andromeda, che aveva scatenato la punizione degli dei, con la vicenda di Perseo.
L’eroe stava tornando in volo, grazie ai suoi prodigiosi calzari, sopra l’Egitto, in direzione nord-est, dopo aver fatto una tappa a Chemmis (lo stesso nome usato da Diodoro Siculo per il re che lavorò alla Piramide!), in Egitto, la Panopoli di epoca tolemaica, presso cui egli era molto adorato, come ci informa Erodoto (Storie, II, 91). Qui egli vide Andromeda, figlia di Cefeo, incatenata ad una roccia sul mar Mediterraneo mentre stava per essere aggredita da un mostro marino, quando Perseo decise di intervenire.
Certo è che Cefeo ha davvero molti collegamenti indiretti con l’antico Egitto, forse con l’egizio Khefu. Casualità?