Un antichissimo culto neolitico della Madre Terra sembra riverberarsi nell’assetto di molte città- simbolo, secondo il concetto tradizionale che “ciò che è in basso è uguale a ciò che è in alto”, attribuito a Ermete Trismegisto (nel mondo greco Ermete/Hermes era considerato il figlio di Maia).
Roma, la città dei sette colli
La più famosa fra tutte, Roma, “la città dei Sette Colli” per antonomasia.
La città di Roma sorge su un gruppo di alture e picchi, ma tutti sappiamo che, da sempre, solo 7 sono stati considerati i colli di Roma.
In un recente articolo disponibile su https://www.larazzodeltempo.it/2019/pleiadi-roma/, il prof. Arduino Maiuri, Uni di Roma Filologia greca e romana e l’Ing. Felice Vinci ci hanno mostrato la correlazione tra le sette Pleiadi e la città eterna.
La nuova ipotesi formulata dai due studiosi, si fonda su un passo del libro V dei Fasti di Ovidio, composto poco prima della sua condanna all’esilio.
Ovidio, infatti, nell’occasione si sofferma su un inedito rapporto tra gli antefatti della fondazione di Roma e la costellazione delle Pleiadi, citando “la stella” che Cicerone negli Aratea definì “Sanctissima Maia”.
Indagando su questa connessione a dir poco anomala, in quanto non ve n’è traccia nel resto della letteratura antica, gli autori sviluppano una interessante ipotesi. I sette colli di Roma potrebbero essere l’immagine, riflessa sulla Terra, delle sette Pleiadi; ed in questo senso, che la stella Maia – la cui controparte, sul piano strettamente speculare, sarebbe rappresentata dal colle Palatino, su cui, secondo la tradizione, Romolo fondò Roma il 21 Aprile del 753 a.C. – fosse la misteriosa divinità tutelare di Roma, il cui nome andava rigorosamente tenuto segreto.
Il layout della città posto all’interno delle Mura Serviane corrisponde, in modo inequivocabile, all’ammasso stellare.
A questo punto è ragionevole chiedersi se anche la data della fondazione dell’Urbe, il 21 aprile, non possa essere inquadrata nell’ipotizzato rapporto con le Pleiadi.
Le Pleiadi
L’ammasso delle Pleiadi si trova a nord dell’equatore celeste, dunque nell’emisfero boreale.
La sua declinazione è pari a circa 24°N, pertanto è sufficientemente vicina all’equatore celeste da risultare osservabile da tutte le aree popolate della Terra, fino al circolo polare antartico.
A nord del circolo polare artico appaiono invece circumpolari, mentre un grado a nord del Tropico del Cancro si possono osservare allo zenit.
L’ammasso domina, nell’emisfero nord, il cielo serale dalla metà dell’autunno all’inizio della primavera, dove il sorgere delle Pleiadi in orari sempre più anticipati nelle prime ore della notte preannuncia l’inizio dell’autunno, mentre la discesa della costellazione ad ovest subito dopo il tramonto del Sole indica l’arrivo prossimo dell’estate; mentre dall’emisfero sud è un oggetto tipico del cielo estivo.
Un po’ di storia e mitologia
La preminenza delle Pleiadi nel cielo notturno (nel cielo invernale nell’emisfero boreale e nel cielo estivo nell’emisfero australe) le ha rese importanti in molte culture.
Tra i Māori della Nuova Zelanda, le Pleiadi sono chiamate Matariki e il loro sorgere ad oriente significa l’inizio del nuovo anno (in giugno).
Secondo la tradizione orale dei Cherokee, il loro popolo, il cui nome significa “Il popolo capo” o “Ani Yonwiyah”, arrivò su questo pianeta ben 250.000 anni fa dalle Pleiadi, dove nella lingua di questa tribù, Pleiadi indica proprio la parola Antenati. La loro lingua, la sua radice originaria, oggi viene parlata da una ristrettissima cerchia di persone e prende il nome di Elati.
Esiste un legame con le Pleiadi anche per i Lakota Sioux. Per la loro tradizione la Prima Sacra Pipa fu portata loro in tempo remoto da Ptesan Win, “Donna Bisonte Bianco”, una donna proveniente dalle Pleaidi.
Pare che tutti i Nativi americani misurassero la vista col numero di stelle che riuscivano a distinguere nelle Pleiadi. Anche nell’antichità europea, specialmente tra i Greci, le Pleiadi erano considerate un test della vista.
Gli australiani aborigeni vedevano nelle Pleiadi una donna che era stata quasi violentata da “Wadi Bira”, l’uomo della Luna. Anche per loro erano sette sorelle chiamate le Makara.
Nella mitologia greca, le Sette Sorelle erano tradizionalmente chiamate Asterope, Merope (o Dryope o Aero), Elettra, Mai, Taigete, Celaen e Alcyone. Questi nomi sono oggi assegnati a singole stelle dell’ammasso. Erano, secondo la mitologia, ninfe delle montagne (Oreadi), le figlie di Atlante e Pleione, anch’essi rappresentati da stelle nell’ammasso; erano anche nipoti di Giapeto e Climene, e sorelle delle Iadi, di Calipso e Dione. Si suicidarono dopo la morte delle loro sorelle, le Iadi.
Il primo riferimento conosciuto in un’opera letteraria è proprio una citazione delle Pleiadi in Esiodo, risalente circa all’XI secolo a.C., Omero ne fa poi menzione nell’Odissea, mentre nella Bibbia compaiono addirittura tre riferimenti.
In Giappone le Pleiadi sono conosciute come Subaru: parola conosciuta anche in Occidente, ma di cui molti ignorano il vero significato, grazie alla nota casa automobilistica (che infatti nel suo logo riporta appunto la stilizzazione delle Pleiadi).
Nella mitologia indù le Pleiadi (Krittika) sono le sei madri del dio della guerra Skanda, che per ognuna di loro ha sviluppato sei facce.
Sorge una curiosità
Ora, partendo dall’inedito collegamento proposto da Ovidio tra le 7 Pleiadi e la fondazione di Roma, tenendo presente l’importanza di questo ammasso stellare presso tutti i popoli del mondo, abbiamo provato a ricercare altre città costruite su 7 colli e con grande sorpresa scopriamo che anche Gerusalemme e la Mecca, che insieme a Roma sono le città simbolo delle tre religioni monoteiste, seguono questo particolare assetto, nella città vecchia.
Ma non solo, anche altre città lontanissime tra loro, sembrano seguire una trama comune.
Cagliari – Sardegna, la città dalle mille sorprese
Anche nel capoluogo della Sardegna ci sono sette colli calcarei che identificano altrettanti quartieri cittadini: Castello, Tuvumannu/Tuvixeddu, Monte Claro, Monte Urpinu, Colle di Bonaria, Colle di San Michele, Calamosca/Sella del Diavolo, particolare molto interessante, specialmente analizzato alla luce di nuove ipotesi sull’antica cultura Sarda.
Altre città costruite sui 7 colli
Tra le più famose città del mondo, costruite su sette colli, troviamo anche:
Atene – Grecia, Istanbul – Turchia, Teheran – Iran, Seattle – USA, San Francisco – USA, Barcellona, Edimburgo – Scozia, Lisbona – Portogallo, Bruxelles – Belgio, Madrid – Spagna, Praga – Rep. Ceca, Macao – Cina e Turku – Finlandia. (Una lunga lista è disponibile sul sito https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_cities_claimed_to_be_built_on_seven_hills)
Sogmatar
“La città 7 templi, ogni tempio su una collina diversa” con questa frase si apre la pubblicità di un sito di viaggi in Turchia.
Le rovine di Sogmatar sono a 57 chilometri da Harran, una tra le più antiche e leggendarie città poste nel sud-ovest della Turchia, vicino al confine con la Siria.
Harran era già un importante centro commerciale nel lontano III millennio a.C.
Le celebri “tavolette di Ebla” che sono state rinvenute negli anni ‘70 presso il Palazzo Reale G dell’acropoli di Elba in Siria, datano Sogmatar tra il 2.500 a 2.250 a.C. e contengono il primo riferimento alla città antica: vale a dire la valutazione del patrimonio di un sovrano di Harran a Sogmatar che sposò una principessa eblaita di nome Zugalum, che a sua volta divenne la “Regina di Harran.
Sogmatar fu un importante centro di culto in cui gli abitanti di Harran adoravano la divintà lunare Sin e gli dei planetari, ci dicono gli studiosi.
Ad Harran, si fa riferimento tuttora al leggendario tempio centrale, probabilmente dedicato al dio Sin, la cui posizione esatta è difficile da individuare, che sarebbe stato creato al tempo di Hammurabi (1.728-1.686 a.C.), il sesto re amorreo di Babilonia, e più volte distrutto e ricostruito come descritto su tavolette assire.
I Cilindri di Nabonedo (quattro in totale), scritti in caratteri cuneiformi, riferiscono che l’ultimo re di Babilonia, Nabonedo (556-539 a.C.) riparò tre templi in Mesopotamia, tra cui il santuario della divinità lunare Sin (chiamato anche Ehulhul) ad Harran “con la passione, la dedizione e lo zelo religioso di uno che ha capito l’importanza del dio Sin” e che sua madre lo avrebbe presieduto come sacerdotessa del tempio.
Le colline sono, secondo gli archeologi, tumuli artificiali.
Tel Motza Israele
Infine, ci suggerisce Felice Vinci,
nel quadro così delineato si potrebbe forse far rientrare anche il nome del sito israelianodi Motza (che è stato accostato all’insediamento biblico di Moza, menzionato nel Libro di Giosuè, e che secondo alcuni sarebbe identificabile con la Emmaus menzionata nel Vangelo di Luca): qui, sulle colline della Giudea, non lontano da Gerusalemme, nel 2012 gli archeologi israeliani hanno trovato le tracce di un antichissimo insediamento risalente al Neolitico (circa 6000 a.C., il che ha smentito la convinzione che a quell’epoca l’area fosse disabitata), nonché i resti di un tempio, databile al regno di Giuda, che potrebbe essere stato in attività contemporaneamente al primo Tempio di Gerusalemme.
Il tempio di Tel Motza era un grande edificio, risalente al IX secolo a.C. Questo nome, riletto alla luce di quanto appena emerso, sembra suggerire l’ipotesi che in tempi remoti l’altura su cui il tempio è stato costruito facesse parte di un sistema di sette colli, da cui in un’epoca successiva potrebbe aver tratto origine la concezione dei sette colli di Gerusalemme (un po’ come è accaduto per l’arcaico Septimontium che ha preceduto i tradizionali sette colli di Roma).
Tutto ciò potrebbe far riferimento ad un antichissimo culto, risalente addirittura al Neolitico e sparso un po’ ovunque, della Madre Terra (chiamata Maka dai Sioux Lakota!), la quale rifletteva in alcuni luoghi considerati sacri la realtà celeste delle Pleiadi, secondo il concetto tradizionale che “ciò che è in basso è uguale a ciò che è in alto”.
La ricerca continua!
Fonti:
Articolo di Felice Vinci su https://www.futuroquotidiano.com
https://www.larazzodeltempo.it/2019/pleiadi-roma/
https://grethevangeffen.nl/2018/12/28/sogmatar-echo-of-a-lost-religion/