Sono in corso prove per la coltivazione di piante nelle stazioni spaziali o in altri pianeti. Ricerche che forniranno tecnologie per le applicazioni più avanzate delle coltivazioni in serra sulla Terra.
“Per consentire agli astronauti di avere a disposizione verdure fresche nel corso dei viaggi sulla Luna e su Marte sarà necessario aumentare e sviluppare nuove conoscenze nel settore dell’agricoltura”. Questo è quanto è emerso dal workshop “Agrispazio”.
Salvatore Pignataro, dell’Agenzia Spaziale Italiana ha dichiarato all’Ansa che la nuova frontiera spaziale è andare oltre l’orbita bassa e a questo scopo è fondamentale riuscire a creare una biosfera artificiale, utilizzando tecnologie biogenerative basate su alghe, funghi, microrganismi in sistemi a ciclo chiuso.
Ipotizzando un viaggio verso Marte, o qualche altro pianeta lontano, sappiamo che il viaggio potrebbe durare un anno o anche più a lungo.
Lo spazio e le risorse a bordo sarebbero limitate. Si rende necessario perciò trovare il modo di produrre cibo con risorse minime. Le soluzioni proposte sono molteplici.
Un progetto, curato dall’ENEA, sfrutta una tecnica di coltivazione nota come idroponica, un metodo che consente di far crescere le piante fuori suolo.
Sarebbe interessante portare da Terra pochi pacchetti di semi, e far crescere le colture al più presto. Queste colture a loro volta produrranno semi, che permetterebbero di sfamare l’equipaggio per tutta la durata del viaggio.
Le piante spaziali non serviranno solo a fornire cibi sicuri e altamente nutrienti agli astronauti. L’obiettivo dell’ENEA è di coltivare dei veri e propri orti spaziali, in grado di migliorare anche le condizioni di vita a bordo dell’astronave, riducendo le emissioni di CO2 o convertendole.
Sappiamo che abbiamo bisogno di carbonio per sopravvivere e lo acquisiamo tramite il cibo. Durante un lungo viaggio nello spazio non c’è la possibilità di acquisire nuovo carbonio, quindi bisogna trovare il modo di riciclare quello che c’è a bordo.
Ebbene, gli scienziati della NASA hanno trovato il modo di farlo, già con un progetto datato fine anni ’60 scoperto per caso da Lisa Dyson e da John Reed.
Ciò che scoprirono è veramente molto interessante.
Riguardava i microrganismi, ossia organismi monocellulari ed inoltre utilizzarono l’idrogeno dell’acqua.
I microbi che impiegarono furono chiamati idrogenotrofi.
Grazie ad essi è possibile creare un ciclo del carbonio virtuoso che sosterrebbe la vita a bordo dell’astronave.
Gli astronauti espirerebbero anidride carbonica, la quale verrebbe catturata dai microbi e convertita in una coltura nutriente e ricca di carbonio.
Gli astronauti si nutrirebbero dunque di queste colture espirando poi il carbonio sotto forma di anidride carbonica, la quale verrebbe nuovamente catturata dai microbi per creare una coltura nutriente, che verrebbe poi espirata sotto forma di anidride carbonica dagli astronauti.
In questo modo, si creerebbe un ciclo di carbonio continuo.
Questi idrogenotrofi, chiamati amichevolmente dai due ricercatori “i super riciclatori di carbonio della natura”, appartengono ad una potente categoria di microbi largamente sottovalutata e studiata poco, i quali potrebbero davvero produrre dei prodotti preziosi.
Con entusiasmo questi microbi furono coltivati nel loro laboratorio sperimentale in California dove fu sviluppato e riutilizzato il vecchio progetto per produrre alimenti a base di CO2, utilizzando specifici batteri all’interno di un bioreattore, producendo olii utilizzabili anche come carburante per motori a reazione, proteine e prodotti a base biologica. Il processo sembra fantascientifico ma è reale ed efficiente.