Il dipinto chiamato La Dama Bianca ha esercitato un grande fascino fin dal suo ritrovamento circa 100 anni fa. È talmente misteriosa e intrigante che gli sono state attribuite le provenienze più disparate: cretese, babilonese, fenicia, egizia, iberica, addirittura vichinga.
Ed ancora oggi la Dama Bianca attira numerosi turisti nel deserto della Namibia.
La storia del ritrovamento e la nascita di una leggenda
Il 4 gennaio 1918 un gruppo di studiosi, composto da Reinhard Maack, Ernst Gries e Georg Schulz, scendeva attraverso il burrone di Tsisab dopo aver effettuato, due giorni prima, la prima ascesa mai registrata del Königstein, la vetta più alta del Brandberg, in Namibia.
Maack decise di riposare all’ombra di uno strapiombo, che ancora oggi viene chiamato Il Rifugio di Maack, e rimase sorpreso da ciò che vide: un fregio che sarebbe diventato non solo famoso in tutto il mondo, ma anche oggetto di molte controversie. Aveva portato con sé una matita e un quaderno e scrisse:
“Ho deciso di tracciare solo il notevole gruppo centrale e alcune figure particolarmente sorprendenti nel mio diario di bordo, oltre a prendere nota dei colori principali e segnare il loro rapporto reciproco per mezzo di semplici simboli per poterlo ricostruire in seguito…”
Era del parere che la figura centrale del fregio avesse caratteristiche distintamente mediterranee e non aveva dubbi sul fatto che fosse maschio.
Il sacerdote e preistorico francese, Abate Henri Breuil, che all’epoca era considerato un’autorità sull’arte rupestre in Europa, mentre partecipava al Congresso congiunto britannico-sudafricano per l’Avanzamento della Scienza all’Università di Johannesburg nel 1929, vide alcune copie dei disegni di Maack. Concluse immediatamente che la figura centrale raffigurava una giovane femmina bianca di origine mediterranea e attribuì il dipinto a esploratori stranieri che si erano avventurati in Africa.
Fu durante la seconda visita di Breuil in Sudafrica nel 1942 che si imbatté in foto scattate dall’archeologo dott. Ernst Schertz dieci anni prima. La sua segretaria e assistente, Mary Boyle, attribuì immediatamente origini mediterranee alla figura centrale, ora soprannominata la Dama Bianca, confrontandola con le figure femminili Affresco della taurocatapsia a Cnosso, Creta.
Sebbene Breuil avesse viaggiato molto visitando siti di arte rupestre in diversi paesi dell’Africa meridionale, fu solo nel 1947 che lui e Mary Boyle riuscirono a visitare il rifugio di Maack. L’Abate consegnò un documento, La signora bianca del Brandberg, Africa sudoccidentale, i suoi compagni e le sue guardie, nel suo discorso da presidente all’Associazione Archeologica Sudafricana nel 1948. E con questo atto nacque il mito della dama bianca, una figura misteriosa di origine inspiegabile.
Nonostante il crescente numero di prove del fatto che la Dama Bianca non sia né femmina né bianca, il mito della Dama Bianca si rifiuta di morire poiché è stato perpetuato nella letteratura popolare per molti anni.
Descrizione e interpretazione
Il dipinto si trova nel cuore del Massiccio Brandberg, grosso modo sulla strada fra Khorixas e Henties Bay, nei pressi della cittadina di Uis, in Namibia. Nel Brandberg si contano circa un migliaio di pareti rocciose dipinte, per un totale di oltre 45.000 figure, soprattutto di uomini e animali. Il complesso pittorico della Dama Bianca comprende numerosi soggetti, sia umani che animali (probabilmente orici) e misura approssimativamente 5,5 x 1,5 m. La Dama Bianca è la figura umana meglio delineata; misura 39,5 x 29 cm.
L’analisi cromatografica ha determinato che il dipinto non può avere meno di 1.800 anni, in quanto risulta totalmente privo delle proteine originariamente presenti nei pigmenti utilizzati per dipingerlo.
Si ritiene che il gruppo della Dama Bianca rappresenti complessivamente una danza rituale, e che la figura predominante, la Dama, sia in realtà uno sciamano.
Lo sciamano indossa coperture decorative alle braccia, ai gomiti, alle ginocchia, al bacino e al petto, e forse anche un indumento decorativo al pene. In una mano regge un arco, e nell’altra quello che potrebbe essere un sonaglio o una specie di calice. Tutte le altre figure umane indossano qualche tipo di calzatura, e uno degli orici è stato rappresentato con gambe evidentemente umane.
Un’altra interpretazione è che la Dama sia un giovane col corpo cosparso d’argilla bianca secondo una procedura rituale, forse connessa alla circoncisione.
Il professor David Lewis-Williams e Thomas Dawson hanno sostenuto che il colore bianco della parte inferiore della figura non implica in alcun modo che rappresenti un europeo, sottolineando che gli elefanti sono stati dipinti in rosso, nero o bianco.
I materiali usati per realizzare il dipinto sono probabilmente quelli tipici della pittura boscimane, ovvero principalmente polveri di pietra ferrosa ed ematite, ocra, carbone, manganese, e carbonato di calcio, miscelati con bianco d’uovo e altri liquidi di origine organica come aggreganti.
L’analisi dettagliata del fregio ha portato gli archeologi a concludere che i dipinti nel rifugio di Maack furono eseguiti da indigeni, i Khoisan, e non da visitatori provenienti da terre lontane.
Nel 1950, quando Breuil studiò, i dettagli dell’immagine dovevano essere ancora chiaramente visibili. I turisti disinformati, che lo hanno fatto sbiadire spruzzandolo con acqua o addirittura con Coca Cola per un maggiore contrasto nelle loro foto, sono arrivati molto più tardi. Oggi l’immagine può essere visualizzata solo con una guida ufficiale e le ringhiere mantengono i visitatori a distanza.
Fonti:
http://www.travelnewsnamibia.com/news/the-white-lady-neither-a-lady-nor-white/
http://www.africanspeoplenews.it/index.php/pubblicazioni/165-the-white-lady-of-the-brandberg