Atlantide era un’isola posta nell’Oceano Atlantico e ricevuta in sorte da Poseidone, dove egli, in quanto dio-innamorato di una donna mortale (Clito), crea la sua dimora spezzando una collina in forma di anelli concentrici di mare e terra, facendo derivare due sacre fonti d’acqua, una calda e una fredda.
Toccherà poi ai suoi discendenti mortali edificare la città capitale proprio su quell’antico impatto meteoritico e in seguito realizzare la bonificazione della pianura centrale grazie alla fossa perimetrale scavata da molti re.
Gli atlanti dopo essere stati sconfitti nella battaglia contro i guerrieri di Atene, nel tentativo di assoggettare buona parte dell’Europa occidentale, con il passare del tempo degenerano fino a diventare empi ed arroganti.
Zeus, dopo aver radunato gli dei nella sua santa dimora, decide quindi di punirli cacciandoli per sempre dall’isola attraverso un’immane cataclisma, identificabile con quel catastrofico evento astronomico chiamato “Impatto cosmico del Dryas recente” o “Grande congelamento”.
Le descrizioni di Platone circa la geografia e la geometria di Atlantide corrispondono in maniera puntuale alla Groenlandia e ai profili costieri lungo quell’antica rotta nautica che dalle Colonne d’Ercole poste nel Canale del Nord tra Irlanda del Nord e Scozia facevano approdare i navigli in quel “continente opposto che circonda il vero mare” oggi chiamato America.
La storia di Atlantide, contenuta nei dialoghi platonici Timeo e Crizia, è stata raccontata a Solone da eruditi egiziani attraverso resoconti sopravvissuti alla catastrofe e alle molte epoche trascorse, grazie alla particolare conformazione geografica (e climatica!) dell’Egitto:
“Ora in questa regione né allora né mai l’acqua scorre dalle alture sui campi, ma al contrario suole scaturire dalla terra. Così per queste cagioni si dice che qui si son conservate le più antiche memorie.”
Timeo 22e
E proprio alcune di queste antiche memorie le possiamo riconoscere nei testi incisi sulle pareti architettoniche del Tempio di Edfu dedicato a Horus (Apollo per i Greci), tradotti e pubblicati nel 1969 da Eve A.E. Reymond nel libro The Mythical origin of the Egyptian Temple.
Questa vasta documentazione menziona l’isola primordiale iw descritta in parte ricoperta di canne e immersa nell’oscurità in mezzo all’acqua primordiale hbbt, “dove gli dei credevano di aver vissuto in principio.”
In questa tradizione l’isola era “quel pezzo di terra occupato da alcuni esseri divini, dove ebbe inizio la creazione del mondo e furono fondate le prime dimore degli dei”, in un piccolo e primitivo luogo sacro ai margini dell’isola della creazione.
In maniera ancora più esplicita l’isola era considerata la patria dei antenati fondatori d’Egitto e luogo-culto del Creatore, chiamata a volte del “Combattimento”, della “Pace” e del “Calpestamento”, l’autrice pone l’accento sul geroglifico formante l’ultimo nome, il Membro del progenitore e l’immagine del Braccio, a simboleggiare le originarie forze creatrici di questo luogo, quella divina in primis e il successivo lavoro dell’uomo; binomio questo che come vedremo fra poco ben si adatta al racconto di Platone e alla geografia della Groenlandia.
Come accennato in precedenza, questa terra primordiale viene presentata immersa nell’oscurità in mezzo all’acqua primordiale, ma la descrizione più straordinaria rinvenuta nei testi di Edfu, è senza dubbio la rappresentazione dell’isola come fangosa in principio, e successivamente – grazie al lavoro dell’uomo – ci fu l’obbiettivo di prosciugare quest’area fangosa facendo sorgere delle terre chiamate Pai.
Questo offre un parallelo con l’Atlantide di Platone, la cui fossa perimetrale di 1780 Km di lunghezza permise la bonificazione della pianura centrale – di una superficie complessiva di 190104 Km2 – facendo letteralmente sorgere un’isola dalle sue acque primordiali.
Questo perché – contrariamente al pensiero comune – la Groenlandia non è un’isola, ma un arcipelago di almeno cinque grandi isole, è divenuta l’isola Atlantide grazie al lavoro – braccio per i testi di Edfu – dei suoi divini abitanti chiamati Shebtiw che riuscirono nell’impresa di bonificare la pianura centrale.
I testi di Edfu specificano come questo appezzamento di terreno – la Pai terra – apparve solo dopo essersi formato sotto le acque primordiali ed emerse come isola iw sul margine di un’altra e precedente configurazione terrestre.
Questo “guadagno fondiario” – prosegue l’autrice – risultava da due fattori, la necessità di un rito magico, e l’adorazione del Braccio, il cui geroglifico è il determinativo di lavoro; il terreno che andava lavorato per ricavarne più terra, appunto un’opera di bonifica.
Ecco spiegato perché Platone può scrivere che l’isola, sconquassata da terremoti e inondazioni, si inabissò sotto le acque scomparendo per sempre; l’Atlantide colpita in pieno dagli impatti meteoritici del Dryas recente, vede compromesso il suo sistema di canalizzazione e regimazione delle acque: la fertile pianura centrale sprofonda nuovamente sotto l’Oceano, riportando la Groenlandia alla sua precedente (e attuale!) conformazione di arcipelago.
Parallelamente anche i testi di Edfu ci informano come quel primo mondo antico, dopo essersi costituito, fu improvvisamente distrutto, attraverso un’immagine mitologica unica nel suo genere, “la caduta dell’Occhio del Suono”.
Tranne un riferimento alla luce, questo misterioso mito non menziona mai alcun corpo astrale, ne tantomeno allude al disco solare; Wd3t (Occhio del Suono), secondo l’autrice potrebbe essere stato il nome del centro della luce che illuminava l’isola! La Raymond a proposito di questo mito conclude dicendo che …
“… sembra che ci sia un’allusione a un disastro che causò la caduta dell’Occhio Sonoro, con il risultato che sul sacro dominio del Creatore cadde l’oscurità completa, nella quale si trovò l’isola quando ci fu l’alba di un nuovo periodo della creazione.”
Dunque l’Occhio del Suono si trovava sopra l’isola della creazione e la illuminava con la sua luce e, visto che stiamo parlando dell’Atlantide/Groenlandia, di certo non ci sfugge l’immediato accostamento con le aurore boreali e la loro affascinante luce sonora.
In tal senso – ci informa l’autrice – il nome dell’acqua primordiale che circonda l’isola della creazione viene sostituito dalla parola W’rt a suggerire il tragico destino dell’isola, attraverso il significato di descrivere una massa d’acqua che giaceva sul mondo primordiale dopo che questo ebbe fine:
“L’acqua primordiale potrebbe aver sommerso l’isola in seguito ad un combattimento, e l’isola diventò la tomba degli originari abitanti divini; così l’acqua hbbt divenne l’acqua w’rt.”
Viene anche fatto notare, come il destino dell’isola così descritto, genera un legame tra i Testi di Edfu e i testi funerari egizi meglio noti come Libro dei Morti e precisamente nell’incantesimo 175; secondo cui la Terra, dopo essere stata creata, scomparve sotto le acque primordiali.
Questa tradizione ben si differenzia tra la creazione della terra primordiale e una generica creazione del mondo, in altre parole, riguarda soltanto l’origine dell’isola degli dei primordiali e i suoi divini abitanti e non di una vaga creazione generale.
Esattamente come avviene in tutte le tradizioni mitologiche sparse per il mondo, anche in questo contesto, il nemico dell’isola e dei suoi abitanti fa la sua comparsa sotto forma di serpente chiamato nhp-wr, il Grande Saltatore, quale antagonista principale di dio.
Questo antico serpente riesce a generare una tempesta di non precisata origine (che sia stata una pioggia di meteoriti?) e possiede armi che “opprimevano la testa dell’Heter-her, che era indifesa; i suoi piedi furono forati e la terra del dominio fu spaccata”; Questa – prosegue la Reymond – è la chiara immagine di un disastro che causò la morte dei divini abitanti dell’isola e il suo precipitare nell’oscurità più assoluta.
A nostro avviso anche i testi di Edfu sono una testimonianza degli impatti cosmici del Dryas recente avvenuti dodicimila anni fa – oppure per dirla con le parole di Platone “novemila anni dal tempo di Solone” – e delle disastrose conseguenze patite dal nostro pianeta, con un abbassamento vertiginoso delle temperature per più di mille anni, che distrusse “in un giorno e una notte tremenda” tutto quel mondo iperboreo rimpianto pressoché da ogni civiltà del passato.
A proposito di questo, una prima straordinaria conferma di quanto affermato, ci arriva dalla recentissima (novembre 2018) scoperta di un enorme cratere da impatto meteoritico, sul suolo della Groenlandia.
Un asteroide di ferro stimato in 1500 metri di diametro ha impattato circa dodicimila anni fa – oppure citando Platone, novemila anni dal tempo di Solone – nel nord ovest della Groenlandia, generando un cratere di 30 chilometri di diametro e profondo 300 metri, immettendo in atmosfera polveri da impatto che avrebbero oscurato il cielo per lungo tempo, facendo così precipitare le temperature di molti gradi e dando così inizio al Dryas recente che sarebbe durato mille anni.
L’Occhio del Suono sopra l’isola era caduto, l’ultima prosperosa generazione di abitanti divenne suo malgrado la prima dei quei pochi sopravvissuti, costretti ad abbandonare l’isola su mezzi di fortuna oppure raccolti da quelle navi che al momento degli impatti si trovavano lontani in navigazione in mare aperto.
I testi – ci informa la Reymond – accennano infatti al “vagabondare di una compagnia di dei” i quali, in qualsiasi luogo essi riuscivano a stabilirsi, fondarono nuovi domini sacri; in particolare essi menzionano una tradizione secondo cui una compagnia di Shebtiw lasciò l’isola del Calpestamento, per navigare verso l’altra parte del mondo primordiale, dove fondarono Eracleopoli (Heracleopolis Magna in greco) città dell’antico Egitto.
Questo chiaro accenno a navigatori venuti da molto lontano, più simili a dèi che a esseri umani, sono elemento ricorrente nei miti di molte civiltà del passato, come l’Aztlan, l’isola in mezzo ad una distesa d’acqua, patria primordiale degli aztechi.
In Perù troviamo la leggenda peruviana di Naylamp, mitico eroe civilizzatore venuto dal mare a bordo dei “cavalli di canna”, notiamo inoltre come queste inconfondibili imbarcazioni, sono praticamente identiche agli Hippos fenici chiamati i “cavalli del mare”, dalla caratteristica polena con testa equina, i quali a loro volta, non possono che richiamare i Drakkar o Dreki vichinghi, più spesso dalla testa di drago.
La memoria di questi superstiti alla catastrofe che distrusse l’isola della Creazione – conclude la Reymond – si ricollega alla successiva tradizione della collina primordiale di Eliopoli (BENBEN), luogo della nascita, ma allo stesso tempo della morte, e la successiva rinascita di una civiltà (questo tema verrà approfondito ulteriormente in un altro articolo NdA).
veramente interessantissimo ed attualissimo il punto di vista. Grazie.