Il tragico evento del Diluvio è tramandato sia nelle leggende mesopotamiche, riportate sia da fonti sumere, accadiche e babilonesi, che ebraiche, al pari di altri racconti di leggende presenti in vari luoghi del pianeta. Tale racconto si imperniava sulla figura di un uomo che portava in salvo il seme dell’umanità e della fauna, per ripopolare la Terra, o, quanto meno, una zona geografica del pianeta sottoposta alla terribile devastazione indotta dal Diluvio stesso.
Egli era conosciuto presso i sumeri come Ziusudra (Zi-u-sud-ra = Vita dai giorni prolungati), re della città di Shuruppak.
Ma l’uomo che salvò il genere umano è presente anche nelle leggende accadiche, sia nella terza tavola dell’epica di Atra(m)Hasis con il nome, appunto, di Atra(m)Hasis, che nell’undicesima tavola dell’epopea di Gilgamesh, con il nome di Utnapishtim (“Colui che ha trovato la vita”), entrambi sempre intesi come sovrani di Shuruppak.
La nave di Utnapishtim era divisa, secondo i racconti, in 6 comparti ed alta 120 cubiti, ed era affidata ad un timoniere, Puzur Amurri, che aveva anche la funzione di custode stesso della nave, e, secondo alcuni studiosi, anche quella di suo costruttore. Utnapishtim, per tal motivo, sarebbe stato solo un passeggero, seppure illustre, dell’Arca stessa.
Dalle fonti babilonesi l’Arca veniva descritta come una barca grande, (MagurGur), definita come parzialmente sommergibile, per quasi 2/3 della sua altezza, ed in grado di scivolare sulle onde. In assiro essa era denominata Tsulili, che diviene in ebraico Tsolet, dalla radice verbale Tsalat (affondare, essere sommerso).
Essa veniva talora descritta come cubica, interpolando la descrizione in cuneiforme che definiva come la sua lunghezza fosse uguale alla sua larghezza. Qualche autore, peraltro, si spinge addirittura ad affermare timidamente che l’Arca potrebbe anche aver avuto una sorta di incredibile forma sferica, (dove il diametro poteva corrispondere alla sua identica larghezza e lunghezza), grazie alla quale avrebbe potuto affrontare le onde impetuose.
Appare chiaro che in entrambi i casi geometrici proposti per la forma di questa ‘nave’ (cubo e sfera), i locali interni dell’Arca stessa avrebbero dovuto avere una separazione strutturale dal loro involucro esterno, magari con una improbabile e fantascientifica (idro)sospensione artificiale, per non compromettere il loro capovolgimento insieme con i loro occupanti (Ziusudra/Utnapishtim/Athahasis e i suoi famigliari + gli animali ospitati al suo interno).
Nelle leggende ebraiche l’uomo del Diluvio si chiamava נוח, Noah (riposare, rimanere, essere quieto).
La forma dell’Arca
La raffigurazione usuale dell’Arca di Noè, estremamente diffusa nel nostro background culturale fin dai libri divulgativi per l’infanzia, conferisce sempre all’Arca stessa l’aspetto tipico di una barca dalla stiva capiente e dalle murate alte, con una prua alta, una poppa arrotondata ed un’incastellatura munita di un tetto spiovente, posta sul ponte dell’imbarcazione.
Tuttavia, tale clichè raffigurativo non solo è di origine medievale, ma appare molto lontano dalla precisa descrizione che rinveniamo nel testo dell’Antico Testamento. Tale modalità rappresentativa appare estremamente condizionata dal contesto acquatico e dalle potenziali caratteristiche impetuose e vorticose dei marosi, come venivano immaginate le onde del Diluvio.
L’aspetto generale che sembra emergere, pertanto, appare quello di una imbarcazione piuttosto tozza, in cui non si ha quasi una dimensione prevalente sull’altra.
Per comprendere meglio la forma dell’Arca descritta dal testo occorre leggere la parte dell’Antico Testamento che ne parla (Genesi 6, 14-16), dove apprendiamo che la forma dell’Arca di Noè fa pensare ad un parallelepipedo dalla forma molto allungata.
Versione italiana del rabbino Dario Disegni
Se leggiamo il testo di questi 3 versetti nella versione italiana del rabbino Dario Disegni (1878-1967), studioso esperto dei testi ebraici, abbiamo:
(Yahweh si rivolge direttamente a Noah, dicendogli): “Fatti un’arca di legno di pino, falla a scompartimenti e spalmala di dentro e di fuori con pece. La farai così: la lunghezza dell’Arca sarà di 300 cubiti, la larghezza di 50 e l’altezza di 30. Fa’ all’arca una finestra al di sopra della grandezza di 1 cubito. La porta dell’arca la collocherai da un lato di essa; falla a piani inferiori, secondi e terzi.”
Lo stesso Disegni ci informa che la traduzione del termine גפר (Gopher, Pino) potrebbe non essere corretta, esistendo anche la possibilità che si trattasse di un abete o di un cipresso, ribadendo, tuttavia, che, in ogni caso, il testo si riferiva ad alberi dal legno resinoso.
In un secondo tempo, dopo che l’intero scafo grezzo in legno era pronto, si sarebbe proceduto alla sua impermeabilizzazione, mediante pece, sia all’interno, che all’esterno. Il rabbino, poi, traduce ed immagina che la finestra, collocata nella parte apicale dell’Arca, avesse la grandezza globale di 1 אמה (Ammah, Cubito) ed ipotizza, infine, che ci fosse una porta su di un lato dell’Arca.
Disegni conclude poi affermando come l’Arca stessa avesse 3 piani o livelli sovrapposti.
Poiché il cubito usato nell’Antico Testamento era compreso fra 45 e 52 cm, possiamo dedurre che la lunghezza dell’Arca oscillasse fra 135 e 156 metri (300 cubiti), la larghezza fosse compresa fa 22,5 e 26 metri (50 cubiti) e l’altezza fra 13,5 e 15,6 metri (30 cubiti).
Versione latina della Vulgata di San Girolamo
Esaminiamo la versione latina della Vulgata di San Girolamo.
Fac tibi arcam de lignis levigatis; mnsiunculas in arca facies et bitumine linies intrinsecus et extrinsecus./ Et sic facies eam: trecentorum cubitorum erit longitudo arcae, quinquaginta cubitorum latitudo, et triginta cubitorum altitudo illius./ Fenestram in arca facies, et in cubito consummabis sommitatem eius; ostium pones ex latere; deorsum cenacula et tristega facies in ea.
Fai per te un’arca da legni levigati (de lignis levigatis); cellette (mansiunculas) farai nell’arca e con il bitume (la) spalmerai all’interno ed all’esterno. E così la farai: 300 (di) cubiti sarà la lunghezza dell’arca, 50 (di) cubiti la larghezza, e 30 (di) cubiti l’altezza di quella. Farai una finestra nell’arca ed in 1 cubito consumerai il suo apice (Consummabis sommitatem eius); porrai invece, un’apertura (ostium) dal lato (ex latere); farai in essa i locali in basso, le sale da pranzo (cenacula), i locali al terzo piano.
Il primo elemento che risalta nel testo latino è la descrizione dei legni levigati, che potrebbe far pensare ad un saggio e competente utilizzo di pialle, da parte di esperti carpentieri o maestri d’ascia, al servizio di Noah, per rendere levigate le assi di legno usate per l’Arca.
Tuttavia, almeno in via indiretta, il riferimento a legni ‘resinosi’ quali, pini, abeti e cipressi, proposto da Disegni, sembra non accostarsi bene al concetto di legni levigati presente nella Vulgata. Il testo latino ripete poi il termine finestra, adoperato da Disegni, anche se la frase successiva (Consummabis sommitatem eius) appare ambigua, forse già nelle intenzioni del traduttore della Vulgata, probabilmente in difficoltà sull’interpretazione del testo originale. I dubbi nascono sull’attribuzione del genitivo eius.
Infatti questo pronome può essere maschile, femminile o neutro, ed anche attribuendo ad eius il genere femminile, per logica, la conseguente traduzione potrebbe diventare: “Concluderai l’apice di questa”, inerente l’Arca, od, invece, relativo alla finestra, opzione, questa, scelta dal Rav. Disegni.
Interessante appare l’utilizzo del vocabolo ostium, inteso come “apertura, orifizio”, un po’ diverso dal concetto di porta, che rivela, invece, una matrice solida.
Infine, il termine cenacula si riferisce, secondo l’uso romano, a locali adibiti alla consumazione del pasto, usualmente collocati al secondo piano delle domus.
Versione greca della septuaginta
Vediamo ora la versione degli stessi versetti che ci giunge dal testo greco della Septuaginta. Il testo afferma:
Ποιησον ουν σεαυτω κιβωτον εκ ξυλων τετραγωνων· νοσσιας ποιησεις την κιβωτον καὶ ασφαλτωσεις αυτην εσωθεν και εξωθεν τη ασφάλτῳ. / και ουτως ποιησεις την κιβωτον: τριακοσιων πηχεων το μηκος της κιβωτου και πεντηκοντα πηχεων το πλατος και τριακοντα πηχεων τὸ υψος αυτης. / Επισυνάγων ποιησεις την κιβωτον και εις πηχυν συντελεσεις αυτην ανωθεν. την δε θυραν της κιβωτου ποιησεις εκ πλαγιων: καταγαια, διωροφα και τριωροφα ποιησεις αυτην.
Farai per te un’arca da legni quadrangolari (εκ ξύλων τετραγώνων) a nidi (νόσσιας) farai l’arca e la asfalterai da dentro e da fuori con asfalto. E così farai l’arca: 300 (di) cubiti la lunghezza dell’arca, e 50 (di) cubiti la larghezza dell’arca e 30 (di) cubiti l’altezza di essa. Avendo riunita in alto (επισυνάγων) farai l’arca e verso (εις πήχυν) 1 cubito ultimerai essa dall’alto (ανώθεν). La porta (θύραν) dell’arca la farai dai lati (εκ πλάγιων): (i locali) vicini al terreno, al secondo ed al terzo farai questa.
Il primo elemento che salta allo sguardo è la locuzione “ek xulon tetragonon”, da legni quadrangolari, dal significato dubbio, in quanto potrebbe riferirsi a delle assi particolari di profilo quadrangolare, ma non esclude la possibilità che si riferisse a delle assi che designavano una forma globale quadrangolare (e, quindi, quadrilatera) della struttura dell’arca. Non si riesce a comprendere il motivo per cui i 72 traduttori della Septuaginta abbiano scelto questa strana traduzione del testo. Tuttavia, appare evidente che qualche indizio, magari proveniente da altri testi vetero-testamentari od extra-biblici, deve aver condizionato questa loro particolare traduzione.
Un altro importante dettaglio ci giunge, all’inizio del versetto 16, collocato subito dopo la descrizione dell’altezza dell’arca, dal participio presente greco επισύναγων, “avendo riunito in alto”, probabilmente riferito ad assi o travate verticali, che potrebbero, per senso logico, sintattico e lessicale, essere connesse proprio all’altezza stessa dell’arca. Anche qui non si comprende il motivo di questa opzione di traduzione, dal momento che tanto la versione del Rav. Disegni, che la Vulgata, parlavano, in questo passo, di finestra.
Misteriosa è anche la frase successiva, “verso 1 cubito la ultimerai dall’alto”, che non sembra avere un senso logico preciso, confermando anche qui che i traduttori si limitassero a tradurre il testo senza comprenderlo. L’unica certezza sembra quella data dall’avverbio άνωθεν, per cui l’azione di completamento suggerita sembra non si realizzasse dal basso ma avvenisse dall’alto, quasi ad ipotizzare delle alte impalcature (superiori, secondo i testi biblici, ai 13-15 metri circa di altezza della stessa Arca) che permettevano la sua ultimazione.
Altro elemento interessante ci giunge a proposito della porta dell’Arca, visto che viene detto che essa è collocata “ek plaghion”, dai lati, al plurale, quasi a far capire che ci fossero 2 porte almeno per ogni lato, se intendiamo l’arca come un’imbarcazione che ha un lato sinistro, convenzionalmente detto babordo, ed un lato destro, appellato tribordo. Tuttavia, come detto, l’Arca non verrebbe mai descritta come un’imbarcazione tradizionale. Ma se noi pensiamo alla strana ed enigmatica dizione legni quadrangolari, non si potrebbe virtualmente escludere che i lati dell’arca avrebbero potuto essere anche 4.
Infine l’espressione unificata greca Katagaia, data dalla preposizione Katà (Presso, vicino), e da Gaia (terra, terreno), fornisce il significato di “vicino alla terra”, che si accompagna ai successivi termini Diorofa e Triorofa, che fanno pensare ad un primo, secondo e terzo ‘livello’. Tuttavia, come nella versione di Disegni e nella Vulgata, non è specificato che cosa fossero questi 3 livelli, ammesso che di livelli si parlasse.
Versione ebraica interlineare delle Edizioni San Paolo
Passiamo ora ad esaminare in dettaglio questi 3 versetti nella versione ebraica interlineare del libro della Genesi delle Edizioni San Paolo. Ecco il testo:
Fa per te arca (תבת ,Tebat) di legno di Goper ( עצי־גפר, Atse-Goper) . Scompartimenti ( קינים, Qinnim) farai nell’arca (התבה, Ha-Tebah) e impecerai essa da dentro e da fuori con la pece. E questo come farai essa: 3 centi cubito di lunghezza l’arca, 50 cubito larghezza di essa e trenta cubito altezza di essa. Tetto ( צהר, Tsohar) farai all’arca ( תבה, Tebah) e a cubito completerai essa dal di sopra ( מלמעלה, Mi-Le-Maelah). E porta ( פתח, Petach) di l’arca (התבה, Ha-Tebah) in lato di essa ( בצדה, Be-Tsidah) metterai. (Piani) inferiori, secondi e terzi essa farai.
Il termine Arca, in ebraico si definisce Tebah o Tebat.
Se osserviamo quanto ci dice il Brown-Driver-Briggs (Hebrew and English Lexicon) notiamo come questo termine sia una parola probabilmente presa a prestito dall’egizio Tch-b-t (cassa, sarcofago), ma anche una parola di origine babilonese forse corrispondente a Tebitu. La diversa accezione di significato fa sì che il greco attribuisca il termine θίβις (in totale assonanza fonetica con la parola ebraica) al “contenitore in cui fu posto il piccolo Mosè fra i canneti”, ed il termine κιβωτος “al vascello che salvò Noè e la sua famiglia, con animali durante il diluvio.”
Se noi verifichiamo la presenza, nel lessico geroglifico della parola Tch-b-t proposta dal Brown-Drivers-Briggs ed analizziamo il An Egyptian Hieroglyphic Dictionary di E. A. T. Wallis Budge, troviamo la parola egizia Tcheb-t.
Tale vocabolo ha il significato di “scatola funeraria, urna, sarcofago, camera funeraria“ in un inequivocabile contesto mortuario, connesso ai resti corporei della salma. L’aspetto tridimensionale, a cui il termine fa riferimento è quello di una struttura solida a parallelepipedo, come sembra emergere dalle 3 dimensioni lineari citate dal testo biblico.
Esso richiama anche il copto Thebi, in assonanza fonetica con il precedente termine greco θήβη. Il termine Tcheb-t appare, in ogni caso, molto antico, visto che compariva nei Testi delle Piramidi rinvenuti nelle piramidi di Pepi I, Mer-en-Ra e Pepi II.
Il termine Maelah, a quanto riporta il Brown-Driver-Briggs, ha il significato di “verso l’alto, in alto”.
Il vocabolo Tsohar, come ci informa il Brown-Driver-Briggs, ha il probabile significato di Tetto e, secondariamente, di Luce, inteso come apertura che fornisce luce in un edificio, e quindi, indirettamente, Finestra.
La locuzione Mi-Le-Maelah comprende al suo interno le preposizioni מ (Mi, Da) e ל (Le, Per, verso) qui usata come rafforzativo dell’espressione stessa, incentrata sul vocabolo מעלה, Maelah, “verso l’alto”, per un globale significato di “dal di sopra”. Come era accaduto con il termine Anothen della versione greca della Septuaginta, anche questo termine ebraico ribadisce che il lavoro di ultimazione della parte apicale dell’arca fosse avvenuto dall’alto e non partendo dal basso.
Il vocabolo ebraico פתח, petach, significa apertura ed è la sostantivazione del verbo patach. Per tal motivo la traduzione come porta, che fa pensare ad un uscio solido e concreto, non appare corrispondente al senso del termine, che sembra riferirsi, invece, ad una semplice apertura, senza una porta concreta.
Infine, anche la traduzione interlineare ebraica del testo biblico, come la Septuaginta, deve porre il termine (piani) fra parentesi, in quanto del tutto assente nel testo originale. Questo significa che non si riesce a capire che cosa intendesse il testo originale ebraico del versetto 16 quando parlava enigmaticamente di Inferiori, Secondi e Terzi.
Una svolta nelle ricerche
Antiche versioni dei testi ebraici dell’Antico Testamento e di tradizioni extra-bibliche sono state trovate fra il 1947 ed il 1956 in giare nelle 11 grotte di Qumran, sulla riva nord-occidentale del Mar Morto, in Cis-Giordania, nei pressi dell’insediamento di Khirbet Qumran.
Seppure danneggiati in maniera più o meno rilevante, questi documenti, risalenti ad un periodo compreso fra il 150 a. C. ed il 70 d. C, per la maggior parte scritti su pergamena, sono stati etichettati come i Rotoli del Mar Morto. Essi sono stati e sono ancora studiati da molti esperti della tradizione religiosa e della cultura ebraica e dal 2011 sono stati digitalizzati e resi disponibili sul sito Digital Dead Sea Scrolls.
Recentemente un laboratorio che lavorava sotto l’ègida dell’Israel Antiquities Authority, all’interno del Leon Levy Dead Sea Scrolls Digital Library, ha effettuato 28 fotografie ad alta definizione, con diverse lunghezze d’onda, su alcuni frammenti dei rotoli. Nel caso di una versione della descrizione dell’Arca di Noah le fotografie ad alta definizione hanno consentito di capire, a quanto afferma Alexei Yuditsky, che la prima parola del versetto 16, del capitolo 6, presente nel rotolo, fosse Ne’sefet. Questo termine ebraico significa “raccolte, unite insieme“, probabilmente riferito ad assi o costoloni verticali dell’Arca stessa, e sarebbe messo al posto del vocabolo Tsohar (tetto), presente, invece, nella versione ebraica interlineare che ci è giunta. Il risultato sarebbe che la parte apicale dell’Arca sarebbe fatta a punta.
Il testo del versetto 16 diverrebbe così, sempre con una buona coerenza interna:
(Assi) unite insieme farai all’Arca e a cubito completerai essa da sopra. E apertura dell’Arca in lato di essa metterai. (piani) inferiori, secondi e terzi farai essa.
Il termine ebraico n’esefet, posto all’inizio del versetto 16, è del tutto identico al termine greco επισύναγων, della versione greca della Septuaginta, anch’esso collocato all’inizio di questo versetto. Così come identici sono i loro significati: “Avendo riunito in alto” e “unite insieme”.
La notizia della scoperta fu confermata dall’articolo del periodico ebraico HAARETS, dal titolo Was Noah’s Ark shaped like a Pyramid? Digitized Dead Sea Scrolls reveal new secrets (L’arca di Noah aveva forma di piramide? I rotoli del Mar Morto digitalizzati rivelano nuovi segreti), datato 28 giugno 2016, e ripreso due giorni dopo da un articolo del periodico Ancient Origins, dal titolo Dead Sea Scrolls reveal that Noah’s Ark was shaped like a Pyramid. (I rotoli del Mar Morto rivelano che l’arca di Noah era fatta a forma di piramide.)
Entrambi gli articoli riportano, come logica conseguenza del fatto che la sommità dell’Arca fosse fatta a punta, anche se in termini che destano un certo scalpore, che la forma dell’Arca sarebbe stata di tipo piramidale.
Yuditsky soggiunge poi che anche in periodo medievale commentatori e saggi ebrei, come Maimonide (1138-1204), asserivano che il tetto dell’Arca terminasse a punta.
Certo è che, se accettiamo l’ipotesi di una sommità a punta dell’Arca, diventa molto importante e del tutto coerente la logica affermazione che l’ultimazione dei lavori sarebbe avvenuta dall’alto.
Ma abbiamo qualche prova che potrebbe correlare la forma dell’Arca di Noah ad una struttura piramidale?
Un aiuto…fiorentino!
Il Battistero ottagonale del Duomo di Firenze ha diversi portali di accesso. La porta est fu fatta dallo scultore Lorenzo Ghiberti (1378-1455) fra il 1425 ed 1452, e denominata Porta del Paradiso da Michelangelo dal nome di una piccola zona antistante la porta del Ghiberti. Contiene 10 formelle in bronzo dorato, di cui la seconda dall’alto della porta di sinistra riguarda episodi biblici inerenti Noah. Nello spazio compreso fra la terza e la quarta formella, conteggiata dall’alto, su entrambi i portali Ghiberti mise la propria firma in latino. Vi leggiamo, infatti, a sinistra: “Laure n tii Cio n is de Ghibertis”, con le due “N”, ribaltate specularmente, ed, a destra: “Mira(bile) arte fabricatum”, per un significato globale di “Opera (fatta) con arte mirabile di Lorenzo di Cione (padre presunto dell’artista) dei Ghiberti”.
La presenza della Ͷ, è relativamente comune presso artisti, letterati e sapienti dal tardo medioevo, fino al periodo rinascimentale ed al seicento. La loro appartenenza a movimenti di ricerca inerenti le conoscenze degli antichi, ed il recupero delle loro culture, sia esse in forma essoterica che esoterica, aveva, molto probabilmente, nell’utilizzo di questo modo di raffigurare la N, un emblema simbolico di adesione e di appartenenza, e, quindi, di riconoscimento reciproco.
La seconda formella sul portale di sinistra della Porta del Paradiso, come detto, viene dedicata a Noah. Come avveniva in molte raffigurazioni iconografiche dell’epoca, nello stesso quadro vengono raffigurati 3 momenti cronologici diversi connessi all’eroe del Diluvio, rappresentati secondo una sequenza posta in senso orario.
Nella parte superiore della formella troviamo una raffigurazione dell’Arca, connessa al capitolo 6 della Genesi. In basso a destra abbiamo la preparazione del sacrificio di ringraziamento a Yahweh che Noah offre dopo la fine del diluvio, correlato al capitolo 8 di Genesi. Mentre in basso a sinistra osserviamo l’episodio di Noah ubriaco e nudo, all’interno della sua tenda, legato al capitolo 9 della Genesi.
Nella parte superiore della formella troviamo una raffigurazione dell’Arca, che ha una davvero insolita forma piramidale.
Essa sembra appoggiata o quasi incastonata su di un terreno roccioso ed irregolare.
Intorno all’Arca troviamo, nei pressi dello spigolo sinistro della piramide, un elefante, un cervo ed un’aquila, mentre, nei pressi dello spigolo destro della piramide, abbiamo un leone, una leonessa accovacciata, un bue (toro?) ed un orso.
Questi 7 animali richiamano il concetto delle coppie di animali che erano state fatte entrare da Noah all’interno dell’Arca.
Nella parte superiore vicino all’apice della piramide vediamo uno stormo di uccelli che sembrano uscire da una piccola apertura posta poco distante dal vertice, possibile riferimento agli uccelli inviati da Noah per vedere se vi erano delle possibili terre emerse dopo il diluvio.
In basso, invece, abbiamo il cadavere di un uomo che sembra simbolizzare i numerosi morti provocati dall’immane Diluvio.
Interessanti dettagli ci vengono, però, dalla struttura dell’Arca a forma di Piramide.
Ghiberti raffigura la pannellatura esterna della piramide in 3 livelli verticali, che egli identifica mettendo delle crocette verticali sul pannello centrale della faccia interessata: 1 per il livello più basso, 2 per quello intermedio, 3 per quello superiore.
Tale scelta iconografica ricorda molto la suddivisione proposta nel testo ebraico, greco e latino di un qualcosa, tradotto molto ipoteticamente come Piani verticali, intesi come una suddivisione di potenziali Ponti interni all’Arca stessa. Il Ghiberti, invece, la correla ad una copertura esterna che può o meno corrispondere ad una molto ipotetica suddivisione interna.
Ma, all’interno di ognuno dei 3 livelli orizzontali sovrapposti, esistono 5 pannelli. Ed anche qui il Ghiberti usa, per il livello centrale l’identificazione con 1, 2, 3, 4 e 5 crocette che partono dallo spigolo sinistro e si dirigono verso lo spigolo destro. Inoltre, nella faccia della piramide vista in prospettiva, notiamo, nel pannello posto centro, sia dei 3 livelli orizzontali sovrapposti, che della fascia centrale, nuovamente la presenza di 3 crocette, poste lievemente con andamento obliquo, ma con la stessa dislocazione attribuita alla faccia della piramide vista in proiezione frontale.
Per i livelli inferiori ed intermedio abbiamo, sia nella faccia frontale della piramide, che in quella vista in prospettiva, 5 + 5 pannelli a forma di trapezio, mentre, per il livello superiore, abbiamo 5 triangoli. Il livello inferiore mostra, pertanto, in tutte le facce della piramide, 5 pannelli a forma di trapezio x 4 lati = 20 pannelli a trapezio. Analogamente il livello intermedio propone, su tutte e 4 le facce della piramide, altri 20 pannelli a forma di trapezio, per un totale di 40 pannelli a trapezio. Infine il livello superiore propone 5 pannelli a forma di triangolo x 4 lati = 20 pannelli a triangolo.
Appare evidente come il trapezio sia geometricamente un poligono regolare a 4 angoli ed a 4 lati, e nelle 4 facce della piramide istoriata dal Ghiberti, ne troviamo ben 40.
Se noi ricordiamo la strana affermazione della versione greca della Septuaginta, che parlava come l’Arca fosse stata fatta da legni quadrangolari (εκ ξυλών τετραγώνων) potremmo dire in teoria che un pannello a trapezio della copertura esterna della piramide potrebbe essere fatto con legni quadrangolari.
Altri due dettagli molto interessanti, nella formella del Ghiberti, ci vengono dalle 2 aperture presenti nella faccia dell’Arca a forma di piramide. Una è quella collocata in prossimità della sommità della piramide, da cui fuoriesce uno stormo di uccelli. La sua posizione sembra in sintonia con quanto affermato dalla Vulgata, ed, in parte, dalla versione del Rav. Disegni.
L’altra è quella posta alla base della piramide, intesa come apertura di accesso, da cui escono Noah, riconoscibile per la barba e per l’aspetto lievemente corpulento, ed altre 7 figure intese come i famigliari del patriarca. Nessuna di queste aperture, peraltro mostra di possedere una reale porta solida, rispettando pienamente, in tal modo, il termine ebraico petach (apertura) presente nella versione interlineare del versetto 16. Entrambe le aperture mostrano in prospettiva il loro consistente spessore.
Troviamo, infine, in alto a destra la figura barbuta di Yahweh, a mezzobusto ed in rilievo, posto all’interno di una formazione circolare, incavata ed a cerchi concentrici, che rammenta i 7 cieli della cosmogonia ebraica. Ognuno di questi cieli veniva stranamente quantificato dagli ebrei con una misura di tempo, secondo un approccio molto moderno, e valutata in 500 anni; per cui Yahweh sarebbe collocato a 3.500 anni dalla Terra (7 cieli x 500 anni ognuno).
Sul margine esterno della formazione circolare troviamo 5 angeli, visibili per il volto e per le ali. Le due braccia di Yahweh, che fuoriescono dalla formazione circolare hanno due direzioni. Il braccio destro, infatti, è diretto verso Noah, appena uscito dall’apertura dell’Arca a forma di piramide, mentre quello sinistro è diretto verso il basso.
In conclusione appare davvero sbalorditivo che, nonostante sia emerso da pochissimi anni e solo grazie a tecnologie davvero moderne ed innovative, applicate ad antichi codici quali i rotoli di Qumran, parzialmente deteriorati dall’usura del tempo, che la forma dell’Arca di Noah, avesse un davvero inedito aspetto piramidale. Questa nuova ed inaspettata rivelazione, che sarebbe confermata in maniera estremamente precisa per posizione e significato da un analogo termine greco, presente nella Septuaginta, verrebbe anche confermata da un commento del saggio ed erudito ebraico Maimonide.
Tuttavia, appare davvero incredibile che lo scultore fiorentino Ghiberti fosse giunto, già nel 1452, data di ultimazione dei lavori per la Porta del Paradiso, quindi quasi 600 anni fa, alla conclusione che l’Arca di Noah avesse una forma piramidale. Tale ipotesi strutturale, evidentemente, doveva essere molto circostanziata se l’artista fiorentino aveva addirittura deciso, quasi in contrasto a moltissime altre raffigurazioni dell’Arca stessa che lo avevano preceduto, di porla con quest’aspetto tra le sue formelle, interamente ispirate ad episodi dell’Antico Testamento, e non solo.
Solo ora, a quasi 600 anni di distanza dall’opera di Ghiberti, e con tecnologie moderne, abbiamo trovato prove documentali ebraiche che suffragano questa scelta iconografica e strutturale dello scultore fiorentino. Evidentemente, ancora in periodo rinascimentale, vi erano prove condivise in certi ambienti culturali riservati, a cui apparteneva verosimilmente lo stesso Ghiberti, ma escluse da una più ampia diffusione, che si riferivano inequivocabilmente a questo aspetto e forma dell’Arca di Noah.