di Felice Vinci e Arduino Maiuri
Pubblicato su Athens Journal of Mediterranean Studies – Volume 8, Numero 2, aprile 2022 – Pagine 107-116
L’origine e il significato di Ermes, la cui figura è ricca di aspetti diversi e persino contraddittori, non è mai stato chiarito. Ora, partendo da un brano dell’Inno omerico a lui dedicato – in cui Ermes è considerato colui “che per primo inventò i bastoncini per accendere il fuoco e il fuoco” – nonché dal fatto che è spesso associato a Estia, la dea del focolare, proponiamo qui che originariamente fosse un dio del fuoco. Questo spiega immediatamente le sue attribuzioni, il significato del suo nome e persino la forma del caduceo. Inoltre, la coppia Ermes-Estia corrisponde alla concezione dei due fuochi nel mondo vedico: uno è il “fuoco maschile” quadrangolare del cielo, mentre l’altro è il “fuoco femminile” rotondo della terra. Questa dimensione originale di Ermes come dio del fuoco lo lega anche al fulmine, che produce incendi boschivi ed è considerato un presagio divino, il che spiega la sua funzione di messaggero degli dei. A questo punto è addirittura possibile identificare la controparte originaria di Ermes nel mondo romano: non era Mercurio, ma l’antico dio Terminus, la cui dimensione originaria legata al fuoco si è via via affievolita nel corso dei secoli, come accadde anche per Ermes.
Ermes nell’antica tradizione mitografica
La figura di Ermes è molto complessa. È il messaggero degli dei e il loro intermediario con gli uomini; è il protettore di pastori, mercanti e ladri; è il Ψυχαγωγός perché accompagna le anime dei morti nell’aldilà; è il Ἀργειφόντης, perché ha ucciso Argo, e il Kυνάγχης, perché ha strangolato un cane; è il Τετράγονος, cioè “il Quadrangolare”; è anche un dio della pietra e il dio dei cumuli di pietre, in un bizzarro contrasto con le ali dei suoi piedi, che lo rendono molto veloce e imprevedibile (Allan 2018, Miller e Strauss Clay 2019).
Tutto ciò fa sì che la sua vera immagine si nasconda dietro un insieme, o meglio, un inestricabile groviglio di attribuzioni eterogenee se non antitetiche, che finora hanno reso molto difficile la comprensione della sua origine e del suo significato. Lo stesso si può dire del suo nome, che non è stato ancora adeguatamente spiegato (Stockmeier 1988).
La chiave del problema potrebbe essere che Ermes è strettamente associato a Estia, la dea del focolare e del fuoco sacro (Nord 2001, Friedman 2002, Kajava 2004), nel primo degli Inni omerici a lei dedicati. Ma non solo questo, sulla base della grande statua di Zeus, ad Olimpia (Barringer 2010, Burton 2015), Fidia ha rappresentato i Dodici Dei. Tra il Sole e la Luna queste dodici divinità erano raggruppate a due a due, ordinate in sei coppie, un dio e una dea. Tra queste coppie divine, Ermes-Estia rappresentano un problema perché non c’è nulla nella loro genealogia o leggenda che giustifichi una tale associazione (Vernant 1963, p. 12).
Tuttavia, a volte sono proprio le anomalie che possono indicare la soluzione dei problemi. In effetti, l’associazione apparentemente bizzarra tra questi due divinità si sposa perfettamente con un passaggio chiave dell’Inno omerico a Ermes, che afferma di essere stato l’inventore del fuoco (Johnston 2002, Vergados 2011, Jarczyk2017):
“Raccolse una catasta di legna e cominciò a cercare l’arte del fuoco./ Prese a bel ramo d’alloro e lo mutò in melograno,/ tenendolo nelle sue mani, e il fumo caldo si alzò./ Perché fu Ermes il primo a inventare i bastoncini di fuoco e fuoco”
Inno a Hermes 107–111).
Poiché il suo nome è paragonabile al termine sanscrito gharmah, “calore”, di cui radice si trova nell’aggettivo greco θερμός, “caldo”, “ardente” (ma anche l’armeno jerm ha lo stesso significato), è ragionevole supporre che dietro i suoi lineamenti e il suo stesso nome si nascondesse un antico dio del fuoco. D’altra parte, questo non è sorprendente, considerando che anche il dio babilonese Nusku (Lewy e Lewy 1948), messaggero del dio Enlil e intermediario tra dèi e uomini, è stato un dio del fuoco: un altro dei suoi nomi è Girru o Gerra, forse paragonabile a gharmah.
Quindi Ermes ed Estia sono imparentati tra loro, poiché Estia personifica il fuoco sacro e il focolare dentro le case (Carandini 2015), mentre Ermes rappresenta il fuoco aperto, acceso nei bivacchi da chi viaggia, lavora o vaga notte, come pastori, mercanti, viaggiatori e ladri… Insomma, di tutti quelli che nell’antica Grecia lo consideravano il loro dio tutelare.
Questa è la chiave per comprendere tutte le sue molteplici attribuzioni. Ermes è entrambi, il dio degli animali domestici e selvatici (Inno a Ermes 569–571), perché durante la notte il fuoco dei pastori protegge gli uni ma terrorizza gli altri. Il fuoco ha anche un potere molto forte – per questo è considerato un dio – ma è ambivalente: infatti è benefico per gli uomini, ma è mutevole, bizzarro e imprevedibile; inoltre, diventa molto pericoloso quando si diffonde troppo velocemente o in un modo incontrollato, soprattutto se alimentato dal vento. Questo spiega perfettamente Le “ali ai piedi” di Ermes, metafora vivace della sua tendenza ad allargarsi molto rapidamente e soprattutto a salire verso l’alto. Inoltre, il fuoco spesso “ruba” i beni di uomini, cioè piante, alberi, raccolti, bestiame, che probabilmente era un altro motivo per considerarlo il dio dei ladri.
Quanto al fatto che Ermes sia chiamato Ἀργειϕόντης e Kυνάγχης, “un killer o strangolatore di cani”, questo potrebbe alludere a qualche episodio mitico, a noi sconosciuto, in cui un cane è stato soffocato dal fumo di un fuoco, forse in un ovile.
Inoltre, Ermes ha aspetti sciamanici (che mostrano la sua grande antichità, che ha messo in ombra la sua attribuzione originale). In effetti è un dio psicopompo, che guida le anime dei morti all’aldilà (Od. XXIV, 1–10), con ovvio riferimento al fuoco delle pire su cui erano bruciati i corpi dei morti.
Egli è anche un dio della musica, che infatti inventa la lira (κιθάρα) nell’Inno omerico dedicato a lui: la musica ha infatti una forte dimensione sciamanica, per non parlare dei bivacchi notturni intorno al fuoco. Questi ultimi sono anche la chiave per capire il perché il bambino Ermes, mentre è tra le braccia del fratello maggiore Apollo, emette un rumore: il riferimento è al crepitio del fuoco (non a caso il termine del dialetto siciliano, pirita, che esprime questa idea, contiene la radice di πῦρ, “fuoco”), mentre il il sole, cioè Apollo, dona luce e calore senza far rumore.
Ermes, inoltre, è “desideroso di carne” (“dopo di che il glorioso Ermes cominciò a desiderare il cibo sacro”: ἔνθ᾽ὁσίης κρεάων ἠράσσατο κύδιμος Ἑρμῆς, Inno a Ermes 130), ma non lo mangia (“il suo cuore intrepido non gli ha obbedito”: οὐδ᾽ ὥς οἱ ἐπείθετο θυμὸς ἀγήνωρ, v. 133), proprio come il fuoco dei sacrifici che brucia le vittime. Il sacrificio dei buoi (vv. 121–123) è invece simile a quello dei buoi eseguito da Prometeo (Hes., Theog. 536–541), che è anche un “dio ladro” legato al fuoco (Lloyd-Jones 2003, Baumbach 2014, Yona 2014-2015).
Tuttavia, questi due personaggi sono molto diversi: Ermes è il messaggero di Zeus, mentre Prometeo è un feroce avversario di quest’ultimo.
In realtà, mentre Ermes è il fuoco che si accende e si diffonde naturalmente nel mondo, ad esempio quando un fulmine colpisce un albero, invece Prometeo è legato ad Efesto, rivelando che è il fuoco della fucina e della fusione dei metalli, che simboleggia il desiderio “prometeico” di Homo faber (Ferrarin 2000-2001) per dominare le forze della natura e competere contro gli stessi dei utilizzando la tecnologia: da qui la sua rivalità con Zeus.
A questo punto diventa anche chiaro perché Ermes è considerato un dio di pietra, legato ai sassi: il riferimento è alla selce, la pietra che se percossa rumorosamente produce la scintilla – cioè una specie di piccolo fulmine – che a sua volta è capace, proprio come un fulmine reale, di produrre un fuoco. D’altra parte, per una mentalità arcaica lo è naturale credere che il bagliore dei fulmini, seguito dal rombo del tuono, sia prodotto dall’altrettanto rumorosa percussione del martello di un dio celeste: pensiamo al nordico Thor così come a Tiermes, un dio lappone del fulmine (Bosi 1995, pag. 114), la cui somiglianza con il nome di Ermes (e con il greco θεπμόρ, la cui radice è legata a Ermes) appare piuttosto curioso. Per quanto riguarda il rapporto tra Ermes e Tiermes, viene approfondito in un altro studio (Maiuri e Vinci 2021), in cui viene proposta una spiegazione dell’anomalia del ciclo lunare nell’Inno omerico a Ermes (Humbert 1967, p. 108).
In breve, Ermes presumibilmente nacque in tempi remoti preistorici come dio del fuoco, come confermato dal suo legame con Estia. Ed è dal fulmine (che provoca incendi nelle foreste e negli alberi) che ha origine la sua dimensione originaria di fuoco degli spazi aperti, così come la sua funzione di messaggero degli dei (come è probabilmente successo anche al suo collega mesopotamico Nusku): ecco perché il tuono e i fulmini che lo accompagnano sono sempre stati considerati segni e presagi della volontà divina.
Alla luce di tutto ciò, si può dedurre che l’Inno omerico ad Ermes è un “fossile letterario”, sfuggito provvidenzialmente ai guai della storia nel corso dei millenni.
Ermes, Estia e i due fuochi vedici
Sulla singolare attribuzione di Τετράγονος, un pezzo di informazione consegnataci da Pausania (II sec. d.C.) è illuminante. Egli dice che in una città un tempo vi era una statua in pietra raffigurante un Ermes quadrangolare, davanti alla quale era il focolare di Estia (Vernant 1978, p. 195). Questo non solo conferma ciò che è già emerso finora, ma ci fa fare un ulteriore passo avanti: infatti esso corrisponde alla geometria dei due fuochi dei sacrifici nella religione Vedica primitiva, su cui si sofferma Georges Dumézil. Infatti dice: “durante la cerimonia, la moglie del sacrificante sta accanto al primo fuoco. Indica il legame con la terra […] e, quindi, è rotondo. L’altro fuoco assiale, a est del primo, è chiamato āhavanīya, il fuoco delle offerte […] Il suo fumo porta i doni degli uomini agli dei […] Questo fuoco è ‘l’altro mondo’, ‘il cielo’ e, quindi, è orientato secondo i punti cardinali ed è quadrangolare” (Dumézil 1977, p. 278).
A questo punto si può affermare che il concetto vedico dei “due fuochi” principali, maschile e femminile, era presente anche nella religione dell’antica Grecia. Questo, quindi, rappresenta l’ultima memoria di un patrimonio comune, risalente al tempo in cui gli antenati comuni dei Greci e degli Indiani erano ancora indivisi (Macedo 2020).
Lo stesso concetto appare nel mondo germanico, dove in occasione della Notte di Valpurga (Barletta 2013), la vigilia della festa cristiana del Santo Walpurga (1 maggio), secondo la tradizione le streghe si riuniscono per festeggiare il loro Sabba sulla cima del monte Brocken, dove si trovano due grandi rocce, dette Hexenaltar (“Altare delle streghe”) e Teufelskanzel (“Pulpito del diavolo”): quest’ultimo, di forma quadrangolare, corrisponde al “fuoco maschile”, mentre il primo è il “fuoco femminile” del mondo vedico.
È anche degno di nota che lo stesso giorno, il 1° maggio, secondo la mitologia romana c’era la festa delle Pallie (Ov., Fasti IV, 721–862), quando i pastori accendevano fuochi sul Palatino (Vanggard 1971, Gjerstad 1976, Toporov 1977).
A questo proposito, sembra significativo che uno dei due picchi del Palatino si chiamava Cermalus (Castagnoli 1977), nome che ha la stessa radice di Ermes; inoltre, in un lavoro precedente (Vinci e Maiuri 2017: cfr. anche Nissan et al. 2019, max. pp. 104–124) abbiamo mostrato che il Palatino è la controparte sulla Terra di Maia, la dea (la madre di Ermes è collegata al 1° maggio, come dice Ovidio nei suoi Fasti) che è la stella centrale delle sette Pleiadi, di cui i Sette Colli di Roma sono la proiezione (secondo il detto tradizionale della Tavola Smeraldina, attribuita ad Ermete Trismegisto: “Come sopra, così sotto”). Nello stesso lavoro dimostriamo anche che Maia era la divinità protettrice segreta di Roma, mentre in opere successive (Vinci e Maiuri 2019, 2021a) dimostriamo che anche la tradizionale data di fondazione di Roma, il 21 aprile, è legata alle sette Pleiadi. Per inciso, è anche curioso che Cermalus abbia quasi lo stesso nome del biblico Monte Carmelo, dove il profeta Elia fece scendere dal cielo un fuoco per bruciare un sacrificio (1 Re 18:38).
Sempre su Roma, Georges Dumézil sottolinea che “la pratica romana dei fuochi sacri ha notevoli analogie con la pratica indiana […] Sull’altare […] l’offerta sarà bruciata e quindi trasmessa al dio; tuttavia, ci deve essere assolutamente un focolare vicino all’altare» (Dumézil 1977, p. 280).
In breve, la concezione dei due fuochi si trova nel mondo romano arcaico, in cui Vesta, identica a Estia sia per funzione che per nome (Ampolo 2005), con il suo tempio circolare rappresenta il fuoco della terra: così le Vestali erano le sacerdotesse che assicuravano la purificazione della città (del Basso 1974, Martini 2004, Wildfang 2006, Arvanitis 2010).
Ora, cercando le divinità romane che abbiano un’analogia con Ermes, emerge che l’antico dio Terminus (Piccaluga 1974, De Sanctis 2005), il cui nome sembra richiamare anche sia θερμός che Tiermes, rappresenta “un culto delle pietre terminali, pietre di confine delle proprietà private” (Dumézil 1977, pag. 386). Di lui infatti Ovidio dice: “O Terminus, che tu sia una pietra o un tronco nel campo,/ anche tu sei un dio fin dai tempi antichi” (Termine, sive lapis sive es defossus in agro/ stipes, ab antiquis tu quoque numen habes, Ov., Fasti II, 641– 642). Omero stesso chiama invece τέρματα (Il. XXIII, 333) il capolinea di una corsa di carri, costituito da un tronco secco con accanto due pietre.
Ovidio prosegue narrando che il 23 febbraio veniva eretto un altare campestre in onore al dio Terminus, con legni accatastati e rami piantati per terra, che venivano poi accesi e sui quali venivano bruciate le offerte sacrificali (Ov., Fasti II, 645–656). Cita anche una caratteristica del tempio che Terminus condivideva con Giove in Campidoglio: “Anche ora, così che non vede altro che le stelle sopra di lui,/ il tetto di quel tempio ha una piccola apertura» (nunc quoque, se supra ne quid nisi sidera cernat,/ exiguum templi tecta foramen habent, vv. 671–672).
Era, quindi, un tempio aperto verso l’alto, che corrobora la dimensione celeste di Terminus e in particolare il fatto che in origine rappresentava il fuoco celeste, proprio come Ermes. Per inciso, questo potrebbe dare all’oculus, il buco circolare in cima al tetto del Pantheon, un significato non solo funzionale: poiché quella struttura, come suggerisce il nome, era dedicata “a tutti gli dei”, era necessario che il tetto fosse aperto, per evitare che alcune divinità celesti, come Terminus, si sentissero “fuori luogo”, cioè a disagio in un ambiente chiuso.
È anche degno di nota che i nomi di Terminus e Tiermes richiamino Turms, il dio etrusco che corrisponde a Ermes, e anche il Tummo, o “fuoco interiore”, l’antica tecnica di meditazione praticata dai monaci buddisti tibetani: qui è un altro punto di contatto con il primitivo mondo indoeuropeo indiviso.
Insomma, anche se nel mondo romano il corrispondente di Ermes è Mercurio, che infatti conserva molte sue attribuzioni, in realtà è probabile che in una remota preistoria il suo vero alter ego nella dimensione originaria di dio del fuoco fosse Terminus, la cui natura originaria, tuttavia, è andata via via affievolendosi nel corso dei secoli. D’altra parte, anche Ermes nel tempo ha perso la sua vera natura, la cui memoria è rimasta solo nel suo Inno che può essere considerato un “fossile” risalente al l’alba dei tempi.
L’ultima apparizione di Ermes come messaggero celeste si trova nell’Inferno di Dante. Infatti, Il ritratto che fa Omero di Ermes nell’episodio del quinto libro dell’Odissea (in cui Ermes va all’isola della dea Calipso per comunicarle l’ingiunzione, da parte di Zeus, di lasciare Ulisse libero di tornare Itaca) ha ispirato il misterioso personaggio “dal cielo” che nel 9° canto dell’Inferno permette a Dante e Virgilio di entrare nella città dei dannati, come abbiamo mostrato in un’altra opera dedicata al grande poeta nel 700° anniversario della sua morte (Vinci e Maiuri 2021b).
Tornando a Ermes, il significato finora poco chiaro del caduceo tradizionalmente a lui attribuito – un bastone con due ali in alto, attorno al quale sono arrotolati i due serpenti – si spiega subito alla luce di quanto appena detto: ricordando come Ermes produsse il fuoco – “prese un bel ramo d’alloro e lo trasformò in un melograno,/ tenendolo tra le mani, e si levò il fumo caldo verso l’alto” (Inno a Ermes 108–109) – è evidente che il caduceo è il ramo di legno, utilizzato da molte culture arcaiche, che, se ruotato in entrambi i sensi in un foro praticato in un tavolo di legno, accende la fiamma.
In questa interpretazione i due serpenti rappresentano il doppio moto rotatorio, orario e antiorario, con il quale il bastone viene fatto ruotare alternativamente tra i palmi delle mani fino a quando il fuoco non si accende (come per le “ali”, sono una vivida rappresentazione del “fumo caldo” che si alza quando il fuoco è acceso).
C’è anche da dire che il simbolo di Asclepio, il dio greco della medicina (Panagiotidou 2016), costituito da un bastone attorno al quale si avvolge un serpente, è simile al caduceo, ma non è identico.
Assumendo anche in questo caso un movimento rotatorio ofidico, ma sempre nello stesso senso, poiché il serpente è uno, si può presumere che questo alluda alla trapanazione del cranio, una pratica chirurgica, e talvolta anche un rito, già nell’antichità – si parla del Neolitico, se non addirittura del Mesolitico – diffuso in varie parti del mondo (Bertonazzi 2018).
Conclusione
Questa dimensione originaria di Ermes come dio del fuoco – chiaramente indicata nell’Inno omerico a lui dedicato e corroborata dal suo rapporto altrimenti incomprensibile con Estia – da un lato permette di spiegare tutte le sue molteplici attribuzioni, dall’altro può essere fatto risalire alla primitiva civiltà indoeuropea, che ne conferma la grande antichità. La metodologia utilizzata in questo contributo consiste quindi in un nuovo esame critico delle fonti, e in particolare dell’Inno a Ermes, che pone in dovuto risalto alcuni aspetti ai quali gli studi di settore non avevano ancora prestato la giusta attenzione. La lettura comparativa di queste testimonianze con elementi tipici di altre culture favorisce un approccio più ampio e trasversale alla questione nel suo insieme, sia a livello diacronico che nella ricerca di consonanze storico-religiose e antropologiche.
Pubblicato su Athens Journal of Mediterranean Studies – Volume 8, Numero 2, aprile 2022 – Pagine 107-116
https://www.athensjournals.gr/mediterranean/2022-8-2-2-Vinci.pdf
La condivisione della conoscenza …
http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2022/03/harmonia-etimologia-e-riflessioni.html
Cordiali saluti,
Zoltán L. Kruse
Grazie all’amica Tiziana Acerbi e all’Arazzo del Tempo per la diffusione di questo articolo! E grazie anche a chi di voi lo ha letto… Una piccola chiosa: il comunissimo aggettivo inglese “warm” (“caldo”), simile all’armeno Jerm citato nell’articolo, e il polacco “żar” (“calore”, con la ż iniziale pronunciata all’incirca come “gi” in italiano, o meglio come una “j” francese), sono anch’essi accostabili alla radice di Hermes. Buona domenica a tutti!
Gentile Felice Vinci,
Grazie e complimenti per questa Sua/Vostra interessante relazione su Ermes; me ne sono occupato anch’io, quindi l’interessamento al tema è codiviso. Secondo le mie indagini etimologiche la base indispensabile del teonimo-attronimo Hermes è costituita dalla parola-seme arcaica Gar, di cui Har/Her è variante aspirata. Sull’origine & significato di questo Uretymon anni fa è stato pubblicato un mio saggio intitolato Realizzazione verbale del concetto di “Cerchio”. Se desidera leggerlo ecco il link: https://www.acam.it/significati-del-cerchio-semantica/
Uno studio successivo sull’etimologia del termine affine di Harmonia è pronto per la pubblicazione.
Un saluto cordiale,
Zoltán L. Kruse