Il sito di Poverty Point è costituito da un massiccio tumulo di terra alto 22 metri e sei terrapieni concentrici a semicerchio.
Secondo gli studiosi si trattava probabilmente di un importante sito religioso in cui i nativi americani si recavano in pellegrinaggio.Tuttavia i terrapieni di Poverty Point contengono grandi quantità di manufatti sia lungo i bordi che all’interno, suggerendo che, almeno per un certo periodo, il sito è stato abitato e che fu abbandonato all’improvviso tra 2.000-2.200 anni fa, sembrerebbe a causa di inondazioni ampiamente documentate nella valle del Mississippi e a cambiamenti climatici.
Gli archeologici della Washington University di St. Louis, con metodi di ricerca moderni, tra cui la datazione al radiocarbonio, l’analisi microscopica e le misurazioni magnetiche dei suoli, dipingono un quadro davvero insolito della prima civiltà americana che costruì e visse in queste zone, davvero molto lontano dalla vita semplice a volte descritta nei libri di antropologia e storia.
I risultati sfidano le comuni teorie… raccoglitori e cacciatori?
Per prima cosa la costruzione degli enormi tumuli e terrapieni così come appaiono ancora oggi dopo 3000 anni qui a Poverty Point, avrebbe richiesto un grande quantità di manodopera ben organizzata e soprattutto un progetto e capo cantieri molto capaci.
“Tra la velocità dello scavo e della costruzione e la quantità di terra spostata, tutti i dati ci mostrano che i nativi lavoravano sul sito ben coordinati.” ha affermato Tristram R. Kidder, autore principale dello studio con la collaborazione di Edward S. e Tedi Macias Professori di Antropologia nelle arti e nelle scienze della Washington University di St. Louis “Noi come comunità di ricerca, e la popolazione nel suo insieme, abbiamo sottovalutato i nativi e la loro capacità di svolgere questo lavoro e di farlo rapidamente nel modo in cui lo hanno fatto” prosegue Kidder.
Ma ancora più impressionante della rapidità con cui le persone hanno costruito le strutture di terra è il fatto che tali strutture siano ancora intatte.
L’analisi microscopica dei suoli mostra che i nativi americani mescolavano diversi tipi di terreno – argille, limi e sabbia – in una ricetta molto sofisticata, simile al cemento romano o alla terra battuta in Cina, al fine di rendere le strutture più forti, compatte, praticamente indistruttibili.
Infatti dopo 3000 anni sono ancora qui malgrado quest’area riceva immense quantità di pioggia ogni anno a causa della sua vicinanza con il Golfo del Messico, che rende i lavori di sterro particolarmente soggetti all’erosione.
“C’è della magia lì che i nostri ingegneri moderni non sono ancora stati in grado di capire“, ha detto il prof.Kidder.
Fonti:
https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/0734578X.2021.1958445
https://archaeologynewsnetwork.blogspot.com/2021/09/new-evidence-supports-idea-that.html?m=1