Noi sappiamo che i faraoni avevano 5 nomi reali, sempre presenti e tutti saldamente legati al singolo sovrano. Di questi nomi, tuttavia, durante il Nuovo Regno, ne venivano correntemente usati solo 2, in documenti, steli ed iscrizioni votive, politiche ed amministrative.
Essi erano il nome “Sa Ra” (Figlio di Ra), corrispondente al nome di nascita del re; il nome “Nesut Biti” (Re dell’Alto e Basso Egitto), relativo al nome di incoronazione del sovrano; il nome “Horus”, o nome “Serekh” dalla struttura che ospitava, al suo interno, il nome del re, che era molto antico, ma che, dal Nuovo Regno in poi, perse la grande rilevanza, che, al contrario, esso aveva nell’Antico Regno e nel periodo Pre-dinastico. Vi erano, infine, il nome “Neb-ty” (Due Signore, legato alle dee “Uadjet” e “Nekhbet”) ed il nome “Horo d’Oro”.
I 5 nomi venivano sporadicamente trascritti tutti durante cerimonie particolari o rituali per la consacrazioni di eventi particolarmente rilevanti per la vita politica e religiosa del sovrano.
Questa articolata titolatura, ovviamente, riguardava anche il faraone noto come “Cheope”, appartenente alla IV dinastia e, da sempre, connesso alla Grande Piramide di Gizah, ma vediamo di saperne qualcosa di più in proposito.
Gli egittologi ci dicono che il nome del faraone “Cheope”, legato alla Grande Piramide di Gizah, era scritto in geroglifico come “Khufu”. Tuttavia, poiché tutti i nomi egizi avevano un loro significato intrinseco, vengono fatti dei tentativi di attribuzione e di traduzione di questo nome. Alcuni studiosi affermano che questo nome significa “Protegge egli me”, e pronunciano, conseguentemente, il nome con la dizione “Khufui”, altri esperti, al contrario, considerando che non si saprebbe quale fosse il dio che faceva la potenziale azione di “proteggere me”, nascosto in quell’”Egli”, (grave mancanza religiosa), lo traducono con “Khnum mi protegge”.
Il dio egizio Khnum, legato all’ariete come suo animale totemico di riferimento, aveva funzioni di dio creatore nella regione dell’Alto Egitto, mentre, nella regione delle Piramidi, inserita nel Basso Egitto, la funzione di Demiurgo era svolta da Ptah.
Quali erano state le motivazioni degli egittologi per giungere alle due traduzioni di “Protegge egli me” e “Khnum protegge me”?
Siamo d’accordo che il verbo geroglifico “Khu” ha il significato di “Proteggere”, mentre il geroglifico della “Vipera cornuta“ = “F”, ha il potenziale senso di pronome personale soggetto e complemento, ma anche di aggettivo possessivo soggetto e complemento, per un possibile significato di “egli, lui, di lui, suo”.
Iniziano, però, poi, i problemi di attribuzione del geroglifico del 2° “Pulcino di quaglia” = “U” , che conclude il termine Khufu. Tale desinenza, nella grammatica geroglifica, ha il valore del pronome personale “Me”, ma, necessariamente, deve accompagnarsi a due simboli ulteriori: la figura di un uomo, con funzione di determinativo, od il geroglifico della “Foglia di palma” = “I”, che, abbinato al precedente, darebbe sempre la desinenza “Ui”. Ed, infatti, alcuni egittologi, come detto, pronunciamo il nome del faraone come “Khufui”, per avvalorare la traduzione a tavolino di “Protegge egli me”.
Il fatto è che né la figura dell’uomo, né il simbolo della “I” sono stati MAI trovati all’interno del cartiglio di “Khufu”.
Consci di questa difficoltà, gli egittologi hanno cercato di migliorare la traduzione, introducendo la versione “Khnum protegge egli me”, prendendo in prestito il nome del dio dal 2° nome di “Cheope”, anche se la riscontrata precedente difficoltà lessicale della potenziale desinenza “Ui”, era rimasta invariata.
Questo 2° nome del faraone, tuttavia, non mostra mai il simbolo geroglifico del 1° “Pulcino di Quaglia” = “U”, visto che la sequenza dei caratteri di questo nome, nel cartiglio, è “Khnem” = “Vaso”, “Ba” = Ariete”, “Kh”, “Placenta”, “F” = “Vipera cornuta”, “U” = “Pulcino di quaglia”, per un globale “Khnem Ba Khefu”.
Poiché l’ariete è, come abbiamo detto, l’animale totemico del dio Khnum, non si può escludere che tale simbolo possa essere pronunciato come “Ba”, o venire, invece, considerato come un determinativo, ed, in quanto tale, non fonetizzato.
Il fatto che non sia più presente il 1° geroglifico del “Pulcino di quaglia” = “U”, atto a formare il verbo “Khu” = “Proteggere”, fa sì, conseguentemente, che la potenziale traduzione del 2° nome di “Cheope” diventi problematica, non essendo più possibile utilizzare il verbo “Khu”.
Attualmente gli egittologi, anche per la comodità di non entrare nella spinosa ‘querelle’ lessicale, archiviano questo 2° nome di Cheope come una semplice variante grafica del nome “Khufu”, ritenuto sempre come assolutamente prioritario rispetto all’altro.
Tuttavia, la questione appare molto più complessa di quanto possa sembrare, e non solo per un mero interesse lessicale. Peraltro, già in passato gli egittologi della vecchia guardia avevano avuto diversi dubbi sulla unicità dei due nomi di “Cheope”, addirittura considerando i due appellativi come facenti parte di 2 diversi sovrani, o comunque, lessicalmente, tutt’altro che equivalenti ad un unico faraone.
Cerchiamo, così, di affrontare, per quanto possibile, la complessa questione dei 2 nomi di “Cheope”, entrando nel merito di una estremamente variegata analisi archeologica sull’esistenza e reale importanza di questi 2 nomi, nella storia della IV dinastia, la cui duplicità è stata forse sottovalutata per troppo tempo.
Le scoperte, le verifiche, le analisi e la possibile conclusione possono gettare una luce nuova sulla conoscenza di un faraone molto importante nella storia dell’Antico Egitto.
Per iniziare la nostra investigazione, rivolgiamoci agli stessi egizi ed a come essi hanno considerato il faraone “Cheope”, che, per non creare confusione con i suoi 2 nomi, chiameremo spesso, da qui in avanti, come figlio di “Sneferu”, il fondatore della IV dinastia.
Le liste reali
Esistono dei documenti ufficiali che riportano elenchi di faraoni importanti per la storia dell’Antico Egitto, e tali da essere ricordati, tratti da precise liste cronologiche, contenute negli archivi. Le principali di queste liste sono quelle di Saqqara e di Abydos.
A Saqqara, nella tomba di un notabile chiamato Tjuneroy, della XIX dinastia viene raffigurato il faraone Ramses II insieme a 58 suoi illustri antenati, i cui nomi appaiono disposti su 2 file, con un andamento di lettura da destra verso e presentazione retrograda (dal più recente al più antico). Al posto nr. 42 della Lista, tra i re “Sneferu” e “Djedefra”, troviamo il figlio del re “Sneferu”, che è chiamato qui, “Khefuf”.
Invece, nel tempio fatto restaurare ed ampliare da Seti I, della XIX dinastia, ad Abydos, troviamo un elenco di 76 faraoni, disposti su 3 file, con un andamento di lettura da sinistra verso destra e presentazione anterograda (dal più antico al più recente). Al posto nr. 21 della Lista, sempre fra i re “Sneferu” e “Djedefra”, troviamo il sovrano figlio di “Sneferu” che, qui, viene chiamato “Khefu”.
Un’altra evidenza ci giunge dal Papiro Westcar, un papiro ieratico, ora frammentario, che contiene 5 storie che parlano di maghi vissuti alla corte del faraone figlio di “Sneferu”. Tale papiro deve il suo nome a Henry Westcar, che lo comprò in Egitto, fra il 1824 ed il 1825, donandolo, poi, all’egittologo tedesco Carl Richard Lepsius, il quale, a sua volta, lo lasciò al Museo di Berlino. Nella riga nr. 11 della traslitterazione in geroglifico, che è stata compiuta dagli egittologi, troviamo il nome del re dell’Alto e Basso Egitto, figlio di “Sneferu”. Anche qui il nome del re è “Khefu”.
Appare strano che 3 documenti ufficiali, che ci sono giunti direttamente dall’Antico Egitto, non chiamino MAI il faraone figlio di “Sneferu”, con il nome di “Khufu”, come, invece, ci saremmo aspettati, seguendo i dettami dell’egittologia ufficiale, ma con il nome di “Khefu”.
L’egittologo inglese Ernest Alfred Thompson Wallis Budge (1857-1934), nel suo The Book of the Kings of Egypt (Vol. 1, pag. 114) propone, poi, un compendio schematico dei nomi, contenuti nel cartiglio, con cui era noto il faraone figlio di “Sneferu”, in base alle ricerche di importanti archeologi dell’epoca, quali Heinrich Schaefer, Carl Richard Lepsius ed Auguste Mariette od a documenti ufficiali egizi.
Egli ne ha individuati 9. Come possiamo notare, in sole 4 circostanze siamo in presenza del nome “Khufu”, mentre, in 3 circostanze, il nome appare “Khefu”, con la variante “Khefuf”, ed in altri 2 casi esso è, invece, presente nella forma NON contratta e semplificata, di “Khnem (ba) Khefu”.
Perché, ci chiediamo, questo faraone viene universalmente appellato “Khufu”, quando sembrano maggiori e più autorevoli, le fonti documentali che, al contrario, lo definiscono, in forma contratta o completa, come “Khefu”?
Ma esiste un ulteriore documento, scoperto nel 2013, che ribadisce, ancora una volta, la reale sussistenza di 2 nomi per il figlio di “Sneferu”. Si tratta di un papiro, abbastanza rovinato dal tempo, scoperto nel porto di Wadi el-Jarf, sul Mar Rosso (a 119 km dalla città di Suez), dalla missione archeologica dell’egittologo francese Pierre Tallet e dell’egittologo egiziano Sayed Mahfouz, che risale al periodo della IV dinastia, e che pare essere uno dei più antichi, se non il più antico papiro egizio finora scoperto.
Questo papiro, scritto in geroglifico corsivo, parla di un funzionario, di nome Merer, addetto ad alcuni lavori inerenti la costruzione della Piramide ed al trasporto dei blocchi di calcare sui canali del Nilo. Il nome del re citato nel papiro compare nei 2 soliti aspetti, in parti diverse del papiro stesso. In un caso il nome è “Khnem (ba) Khefu”, accompagnato dal nome “Horus” di “Mezed-u”. Nell’altro, invece, leggiamo per 3 volte il nome di “Khufu”, sempre seguito da alcuni geroglifici, che POTREBBERO costituire la locuzione “Piramide dell’Orizzonte di”, riferita al precedente cartiglio di “Khufu”.
Si tratta dell’ennesima dimostrazione della sussistenza, importanza, ed, oserei dire, prevalenza, del nome di “Khnem (ba) Khefu”, rispetto a quello di “Khufu”.
Altri egittologi, peraltro, avevano già osservato, in passato, la realtà di questi 2 differenti nomi regali, e, partendo del reale postulato che, nell’Antico Egitto, ogni re aveva il suo unico nome, ed ogni nome risultava collegato ad un singolo faraone, li consideravano connessi a 2 diversi re.
È il caso di Ippolito Rosellini (1800-1843) e di John Gardner Wilkinson (1797-1875). Quest’ultimo, peraltro, proponeva il nome “Horus”, di “Mezed-u”, associato a quello di “Khufu”, da lui letto secondo l’ormai desueta modalità lessicale, proposta da Manetone, come “Suphis”. L’altro nome del sovrano veniva letto da Wilkinson come “Numba Khufu”, poi grecizzato in “Chembes” (che rammenta il “Chemmis”, di Diodoro Siculo), attribuendo al simbolo dell’ariete “Ba”, un concreto valore fonetico, teoricamente comunque possibile, rispetto al suo valore di determinativo, che lo renderebbe, al contrario, foneticamente muto. La conclusiva lettura “Khufu”, fatta da Wilkinson appare, tuttavia, errata, in luogo del corretto “Khefu”.
La posizione degli egittologi dell’epoca, su quest’annosa questione era chiarita, in maniera significativa, da quanto scriveva enfaticamente l’egittologo inglese William Matthew Flinders Petrie (1853-1942) nel suo The Pyramids and Temples of Gizah (cap. 17, sez. 113):
“Un altro nome è stato trovato sui blocchi della Piramide, a fianco di quelli che recano il nome di “Khufu”. L’altro nome è lo stesso di quello di “Khufu”, con il prefisso di 2 geroglifici, il vaso (“Khnem”, N. d. A.) e l’ariete (“Ba”, N. d. A.) ed è variamente reso come “Khnumu-Khufu”…La teoria più distruttiva inerente questo re è che sia identico a “Khufu”.
Sui monumenti che recano il nome di “Khnumu-Khufu”, sia a Gizah, che nello Wadi Maghara, è presente anche il nome di “Khufu”. Che i due nomi potessero essere trovati insieme sarebbe molto verosimile, se essi fossero co-reggenti, e questa aggregazione nella Piramide ce la saremmo aspettata. La scelta, quindi, oscilla fra una semplice idea di co-reggenza, che noi sappiamo essere possibile od, in alternativa, adottare una pronuncia tardiva, ignorare un carattere del nome (uno dei 2 “Pulcini di quaglia” = “U”. N. d. A.), inventare l’utilizzo di un determinativo prefissato nei cartigli e supporre che il nome del Re fosse posto in forma doppia sui monumenti pubblici, con o senza determinativo. Tale opzione viene contraddetta dall’uso ben noto trovato su tutti i ritrovamenti archeologici.”
Petrie, come abbiamo letto, ha nominato le incisioni rupestri presenti nello Wadi Maghara. Vediamo se possiamo trovare tracce utili per la nostra indagine in questo sito minerario.
Le incisioni rupestri dello Wadi Maghara
Nelle miniere di turchese dello Wadi Maghara, nel Sinai meridionale, sono state trovate diverse iscrizioni fatte istoriare dai faraoni, che rinnovavano periodicamente l’autorità ed il controllo dell’Egitto su queste zone, esposte all’attacco di predoni locali.
Il canovaccio di base di queste iscrizioni, alcune delle quali riprodotte dal poderoso Denkmaeler aus Aegypten und Aethiopien nach den Zeichnungen di Carl Richard Lepsius (1810-1884), mostrava sempre il faraone, in piedi, con le gambe divaricate e con una mazza brandita nella mano destra, tenuta in alto, che stava per colpire, fracassandogli il cranio, un predone, quasi inginocchiato e sovrastato dalla prestanza del sovrano egizio. Sopra la testa del re, ed in orizzontale, erano sempre collocati alcuni dei titoli del faraone, il nome “Re dell’Alto e Basso Egitto”, il nome “Horus” ed il suo cartiglio, tutti letti da destra verso sinistra.
Possiamo osservare iscrizioni di questo tipo riguardanti il re “Sneferu” della IV dinastia, ed i sovrani “Sahu-Ra”, “Men-Ka-u-Hor” e “Djed-Kha-Ra”, appartenenti alla V dinastia, tutte con modeste, se non minime, differenze strutturali ed estetiche fra loro.
Ma, nello Wadi Maghara troviamo anche un’iscrizione che riguarda il figlio di “Sneferu”, ma che presenta strani particolari, che, apparentemente, potrebbero risultare scarsamente rilevanti, o del tutto trascurabili, ma che, in realtà, appaiono molto inconsueti.
La prima evidenza che colpisce è l’insolita estensione dello spazio occupato dall’iscrizione del faraone, che appare essere più del doppio di quella utilizzata dagli altri re. Il cartiglio collocato sopra la figura del sovrano che sta per colpire il cranio del nemico, letto da destra verso sinistra, come tutti gli altri titoli del faraone, è quello di “Khnem (ba) Khefu” “Grande Dio”. Se seguiamo l’andamento concettuale delle altre analoghe iscrizioni degli altri faraoni che abbiamo osservato, presenti nello Wadi Maghara, questo sarebbe il reale nome di nascita del re.
Ma l’iscrizione si sviluppa, qui, molto verso destra, dove notiamo, all’estrema destra ed in verticale, la presenza del nome “Horus” di questo sovrano, all’interno della sua solita struttura a “Serekh”, che risulta essere “Mezed-u”. Subito a sinistra di questa troviamo il nome “Neb-ty (Due Signore)” che è “Mezed”, forse con l’elisione inferiore, del simbolo della “r”, dovuta al tempo. A sinistra di questo, rileviamo, poi, in basso, il titolo dell’”Horo d’Oro”, mentre in alto, osserviamo, infine, il titolo di “Re dell’Alto e Basso Egitto”. Quasi in mezzo a tutto questo pannello, troviamo, posto quasi a caso, il cartiglio di “Khufu”, ma collocato in verticale. Quest’anomalia di disposizione, unica in tutte le iscrizioni finora considerate, appare veramente inconsueta, sia per l’incomprensibile asimmetria in se stessa, sia per lo strano spazio eccessivo, esistente fra il nome reale “Re dell’Alto e Basso Egitto” ed il cartiglio di “Khufu”, che fa quasi dubitare la correlazione reciproca tra i 2 nomi.
Se si voleva inserire il cartiglio di “Khufu” in verticale, esso doveva essere posto sotto il titolo “Re dell’Alto e Basso Egitto”, al posto del nome “Neb-ty”. Se, al contrario, si voleva porre il cartiglio di “Khufu”, in logica ed armonica vicinanza del titolo “Re dell’Alto e Basso Egitto”, esso doveva essere posto in orizzontale.
Questa collocazione si traduce in un globale aspetto disordinato e poco armonico, del pannello di destra, che reca il cartiglio di “Khufu”, rispetto al migliore assetto funzionale e stilistico del pannello di sinistra, che esibisce, invece, il cartiglio di “Khnem (ba) Khefu”.
La parte destra non rispecchia tanto i dettami stilistici di “Maat”. Perché il figlio di “Sneferu” creò questa iscrizione, che, nella sua parte destra, si manifesta in modo dis-armonico, con una pessima programmazione stilistica, inconsueta nelle opere di un faraone, dovuta alla strana posizione del cartiglio di “Khufu”?
Era forse frutto di fretta o di un eventuale ripensamento, rispetto ad un progetto originale, per cui si fu costretti a creare questa parte dell’iscrizione in questo modo poco ordinato?
Per proseguire le nostre ricerche, tuttavia, facciamo un salto a Gizah, osservando, se nelle tombe poste ai piedi delle Piramidi, troviamo altre utili indicazioni per la nostra indagine sui due nomi del figlio del re “Sneferu”.
Le tombe di dignitari a Gizah
Nella piana di Gizah vi sono molte tombe di dignitari che avevano vissuto durante la IV dinastia, quella a cui apparteneva il figlio di “Sneferu”, ma anche della dinastia successiva, la V, a riprova di quanto il sovrano, connesso alla Grande Piramide, fosse ancora molto venerato e rispettato, molti anni dopo la sua scomparsa. Tra le varie cariche e titoli onorifici di cui si fregiavano questi dignitari, infatti, troviamo, molto frequentemente, il nome di “Khufu”, sempre scritto con questa modalità lessicale. È il caso, per esempio di un dignitario, vissuto durante al V dinastia, che si chiamava “Ptah Ba-u Nefer”.
Questo dignitario aveva ricoperto in vita le cariche di “Conoscente del Re”, “Sovrintendente del Grande Tempio”, “Sacerdote Purificatore“, “Adoratore verso il Grande Dio”, ma anche “Sacerdote del Re (Dio)” inteso, in realtà, come dio umanizzato, di “Khufu”, di “Nefer-Ir-Ka-Ra”, 3° sovrano della V dinastia, di “Sahu-Ra”, 2° re della stessa dinastia e “Neuserra”, 6° faraone della stessa dinastia, il più recente del gruppo, presso cui, peraltro, era posto il nome del dignitario stesso, che lo collegava, direttamente con questo artificio, proprio a tale re.
Come possiamo vedere, pur dichiarando di aver formalmente servito ben 3 faraoni della V dinastia, il dignitario “Ptah Ba-u Nefer” ricordava di essere stato anche, virtualmente, un dignitario del ‘grande’ “Khufu”, tanto grande era la fama raggiunta da questo sovrano di molti anni addietro.
Ma, poiché “Ptah Ba-u Nefer” aveva vissuto durante la V dinastia, ci domandiamo se potremmo trarre qualche indizio per noi utile sui due nomi del sovrano, cercando informazioni presso tombe che risalivano, effettivamente, al periodo in cui visse il figlio di “Sneferu”, la IV dinastia.
La tomba rivelatrice
Sempre nel corposo Denkmaeler di Lepsius troviamo, così, la soluzione al davvero annoso enigma dei due diversi nomi del faraone figlio del re “Sneferu”. Infatti, la tomba classificata da Lepsius come la numero 43, risalente alla IV dinastia, proprio quella del figlio di “Sneferu”, reca il nome del dignitario che vi era sepolto. Come afferma lo stesso Lepsius:
“Questa tomba è situata all’angolo sud-orientale della necropoli (ad ovest della Grande Piramide)”.
Si trattava del dignitario chiamato “Khemeten”, il cui nome e la cui figura compariva molte volte all’interno della tomba stessa. Egli aveva fatto scrivere, come era successo con il precedente dignitario “Ptah Ba-u Nefer”, della dinastia successiva, i diversi titoli e cariche che gli erano attribuiti, corrispondenti al ruolo ed al rango sociale che egli aveva in vita. Essi erano, come in precedenza: “Conoscente del Re”, “Sacerdote purificatore del Re” (Figure e ) e “Sacerdote del Re (Dio)”.
In 2 punti della tomba di “Khemeten”, il titolo di “Sacerdote del Re (Dio)” è accostato al cartiglio di “Khufu”, anche se, in una di esse, tale titolo risulta abraso dal tempo e non possiamo affermarlo con certezza, ma soltanto per deduzione logica e lessicale.
Tuttavia, in un altro punto della sua tomba, troviamo lo stesso “Khemeten”, che esibisce, ancora una volta, il titolo di “Conoscente del Re”, seguito dal titolo di “Sacerdote del Re (Dio)”, ma qui il cartiglio presente è quello di “Khnem (ba) Khefu”.
Questa evidenza fa scaturire la domanda: ma perché “Khemeten” si descriveva come un dignitario, con le stesse funzioni di rango sociale, di un re chiamato con due nomi diversi? Forse aveva servito sotto due faraoni diversi?
Tuttavia, in un frontone proveniente da questa tomba, troviamo un’insolita frase, letta da destra verso sinistra, che mostra parte della titolatura reale del re figlio di “Sneferu”. Vi leggiamo, così, il nome “Neb-ty (Due Signore)” di “Mezeder”, a cui segue il cartiglio di “Khnem (ba) Khefu” e la preposizione “Khent”, dal senso di “Davanti a” se inteso in senso geografico, o “Prima di”, se valutato in un ambito cronologico.
Segue, infine, il cartiglio di “Khufu”.
In entrambi i casi di attribuzione, tuttavia, la preposizione “Khent” crea una sfumatura di significato del tutto reale ed elimina qualsiasi tentativo di intendere i due nomi collocati nei cartigli come semplici varianti grafiche dello stesso nome reale, perché non potrebbero essere entrambi presenti contemporaneamente.
La risultante locuzione del frontone sostiene, così, due possibili interpretazioni. La prima di tipo geografico che afferma “Khnem (ba) Khefu” di fronte a “Khufu”, che, in mancanza di una chiara e reciproca collocazione geografica, di eventuali edifici esistenti sulla piana di Gizah, risulta poco comprensibile. La seconda, di tipo cronologico, propone, invece, “Khnem (ba) Khefu” prima di “Khufu”.
Tale insolita locuzione non passò, peraltro, inosservata al preciso Lepsius, che, infatti, vi dedicò le ultime sue note inerenti questa specifica tomba. Egli, infatti, scrive: “Nella stessa iscrizione si trova anche il cartiglio di “Khnem (ba) Khefu” e prima, a quanto sembra, il suo nome (“Khemeten”. N. d. A.).”
Questa affermazione di ambito cronologico, della tomba di “Khemeten”, pur nella sua incredibile semplicità, non solo appare più credibile della precedente, dal contesto geografico, ma propone una serie di interpretazioni a catena che si incastrano fra loro in maniera stupefacente.
In pratica, sembra che il frontone della tomba di “Khemeten” ci dica che il re, figlio del faraone “Sneferu” avesse, inizialmente (l’egizia preposizione “Khent”), il nome di “Khnem (ba) Khefu”, costantemente abbreviato in “Khefu” (o “Khefeu”) nelle liste reali di Saqqara ed Abydos.
Con questo specifico nome questo re era conosciuto dai suoi sudditi, come appare il caso di “Khemeten”, che così lo aveva fatto istoriare all’interno della sua tomba, che ricordiamo, come avveniva sempre in Egitto, veniva fatta scavare dal suo proprietario molto in anticipo, affinché non si giungesse impreparati al momento del decesso, non avendo ancora, il proprietario, la propria personale “Casa dell’Eternità”.
Successivamente, per motivi a noi sconosciuti, ipoteticamente connessi con la Grande Piramide, “Khnem (ba) Khefu” decise di aggiungere al proprio nome di nascita, quello di “Khufu”, e, per un certo periodo, egli dovette usare entrambi questi nomi, non potendo eliminare subito, come egli, forse, avrebbe desiderato, il suo nome di nascita, così come appare nelle incisioni rupestri dello Wadi Maghara.
Ispira molto simpatia, e quasi una punta di tenerezza, l’intento del ‘nostro’ “Khemeten”, che scrive nella sua tomba come egli avesse avuto un certo tipo di cariche onorifiche sotto il regno di re che recavano nomi diversi.
Pieno dello zelo tipico degli antichi egizi, che volevano comunicare alle generazioni future, egizie come le nostre, chi fosse il reale proprietario della tomba e sotto quali sovrani egli avesse prestato servizio, “Khemeten” si pose il dubbio della potenziale confusione che si poteva creare su questi nomi, nella sua epoca ben chiari, ma destinati, ineluttabilmente a perdersi con l’inesorabile scorrere del tempo.
Con l’intento di risolvere ogni teorico dubbio su come si chiamasse il re presso cui egli aveva prestato servizio, “Khemeten” fece scrivere sul frontone della sua tomba, che il sovrano, figlio di “Sneferu”, si chiamava “Khnem (ba) Khefu”, PRIMA, ed assunse, POI, il nome di “Khufu”.
Avvenne, così, che, dapprima, il nome “Khufu” fu usato in affiancamento al suo nome originale, “Khnem (ba) Khefu”, ma solo per un breve periodo di tempo. Poi, per il gradimento indiscutibile del sovrano per il nuovo nome “Khufu” e per la forza dell’abitudine di usare con sempre maggiore frequenza questo nome, ancora durante la IV dinastia, del tutto verosimilmente, quando il re stesso era ancora in vita, il nome “Khufu” divenne quello abituale, poi usato in tutte le iscrizioni funerarie ed amministrative che riguardavano il sovrano.
Questo spiega perché in molte tombe di dignitari presenti a Gizah, e già risalenti alla IV dinastia, il nome del re è sempre “Khufu”. Evidentemente, esse risalivano al periodo in cui il re aveva già deciso di abbandonare il suo nome originale, usando soltanto quello da lui scelto. Inoltre, i cartigli in ocra rossa e rozzamente disegnati, posti in varie posizioni, e, con ogni probabilità, del tutto autentici, rinvenuti nelle Camere di Arbuthnot e Campbell, sopra la Camera del Re, all’interno della Grande Piramide, recavano entrambi i nomi del re: sia “Khnem (ba) Khefu”, che “Khufu”. Essi risultavano correlati, quindi, ad una parte relativamente iniziale del regno dello stesso sovrano, prima dello stabile cambiamento del nome.
Poiché, come ho affermato in precedenza, il nome “Khufu”, pur contravvenendo potenzialmente ad alcune regole lessicali egizie, sembra essere una sorta di titolo, che potremmo identificare in “Protettore”, abbiamo una incredibile somiglianza con un altro eclatante episodio, presente nella storia egizia, di un Re, che, per ragioni del tutto personali, improntate ad un forte misticismo religioso, aggiunse al proprio nome un altro appellativo, che sembrò, analogamente, avere la funzione di un titolo.
In una prima e breve fase egli, infatti, adottò entrambi i nomi, ma, molto presto, il sovrano decise di abbandonare il suo nome di nascita, adottando, fino alla sua morte, il nuovo nome da lui scelto.
Si tratta, logicamente, di Amen-Hotep IV, della XVIII dinastia, che, ben 14 dinastie dopo “Khufu”, scelse di chiamarsi “Akh-en-Aton”, “Spirito di Aton”, tenendo, in buona sostanza, lo stesso comportamento del suo illustre antenato.
Inoltre, possiamo affermare che anche lo stesso Diodoro Siculo/Storico, che si basava, per le sue ricerche, sui documenti d’archivio egizi, come, in sostanza, possiamo considerare le liste regali di Abydos e Saqqara, aveva visto chiare evidenze che il nome vero di nascita del re, figlio di “Sneferu”, era “Khefu”, forma contratta di “Khnem (ba) Khefu”.
Egli, perciò, decise di grecizzare in “Chemmis”, la prima parte del nome del re, che, in geroglifico egizio era “Khnem” o “Khem”.
Erodoto/’Reporter’, invece, si fidò della pratica comune, acquisita con l’uso consolidato, di adoperare il nome “Khufu”, adottato dal sovrano in un secondo tempo, grecizzandolo, a sua volta, in “Cheops”.
Questo dimostra, per l’ennesima volta, come la diffusa pratica di bollare come totalmente inattendibili le fonti greche che parlano della storia dell’Antico Egitto, dovrebbe ridimensionata, una volta per tutte.
Forse, abbiamo realmente aperto uno spiraglio sull’intricata questione dei 2 nomi del faraone figlio di “Sneferu” e potremmo decidere, autonomamente e liberamente, di chiamarlo con il suo nome di nascita, “Khefu”, nella sua forma contratta, imitando Diodoro con il suo “Chemmis”, o di appellarlo con il suo nome/titolo acquisito e da lui personalmente scelto, “Khufu”, seguendo Erodoto con il suo “Cheops”.
Articolo molto dotto con continui riferimenti storici e richiami di testi geroglifici. E’ un lavoro davvero dettagliato preparato da uno studioso (Massimo Barbetta) di indubbio valore.
Devo dire che la mia non conoscenza della lingua geroglifica non mi permette di apprezzare fino in fondo questo studio di ottimo livello.