Ci sono studi che mettono in crisi conoscenze ormai date per acquisite. Ne è testimone il contenuto del libro Il Planetario di Archimede ritrovato di Giovanni Pastore.
L’opera di Pastore, ingegnere, docente di Costruzioni Meccaniche presso Facoltà di Ingegneria Meccanica di alcune Università italiane, presenta tra gli altri studi già citati in un precedente articolo, una sua interessante interpretazione della Brocchetta di Ripacandida, suscitando così l’ammirazione per il livello di conoscenze incredibilmente progredito che emergono a monte di questo reperto di più di duemila anni fa.
Pastore dimostra anche come il moto della Terra, calcolato con equazioni che risalgono al 1600, in realtà fosse noto agli antichi e di come i libri di storia abbiano spesso frainteso il pensiero scientifico tramandato fino a noi, perché probabilmente i copiatori medioevali non riproducevano quel che non capivano e perché la scienza degli antichi, come i pitagorici che si trovavano proprio ad Eraclea, era tramandata oralmente.
Una misteriosa linea curva
Nel capitolo Una misteriosa linea curva dedicato alla Brocchetta, trovata in una tomba femminile a Ripacandida e conservata nel Museo Archeologico di Melfi, Pastore afferma:
La mia curiosità si indirizzò verso la linea curva che, partita da oltre il cerchio stellato, finiva sulla circonferenza che rappresenta la Terra, la mia prima interpretazione della curva è stata quella della traiettoria di un grave, ad esempio un meteorite, catturato dal campo gravitazionale della Terra, si spiegava così il piede alzato della figura umana, segno dei lutti conseguenti al disastroso impatto del corpo celeste. Convinto dell’importanza della interdisciplinarità, ho cercato riscontri letterari di questo evento, cominciando dagli scritti del V e VI sec. a.C. Dopo oltre 4 anni di ricerche a gennaio 2010 trovai la soluzione in due righe di un’opera minore di Aristotele, in cui egli riferisce dell’impatto disastroso di un grande meteorite nella Grecia orientale, a metà del V sec., ricordato anche da Plinio il Vecchio.
Una osservazione attenta del reperto anche sul retro ha confermato con la disposizione simmetrica, e non casuale, delle linee, le intuizioni iniziali, dimostrando anche che l’evento è descritto su un piano tridimensionale. Ciò conferma che la dottrina pitagorica era a conoscenza della sfericità della Terra e dell’universo, come dell’origine siderale dei corpi celesti, cosa rimasta ignota per 2000 anni, per i condizionamenti della fisica aristotelica che affermava non esserci corpi solidi oltre la luna, ma la quintessenza».
Le ceramiche di Ripacandida e il Pitagorismo
È necessario ricordare l’importante ubicazione di Ripacandida che si trova alla fine di un lungo itinerario interno, la valle del Bradano, che raggiunge Metaponto, colonia magnogreca sede della scuola di Pitagora, frequentata anche dalle aristocrazie indigene. Qui tutta una serie di elementi riportano al pensiero pitagorico.
Ricordiamo inoltre che nel mondo greco a partire da Esiodo il fulmine (in cui si può identificare Zeus o quanto meno il suo potere) è ubicato al centro della Terra, mentre proprio a Pitagora è possibile riferire l’idea che alla Terra, di forma rigorosamente sferica quindi perfetta, ruotino idealmente intorno i sette “pianeti” visibili cioè il Sole, la Luna ed i cinque pianeti in quel momento conosciuti.