Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, Dimitry K. Belyayev, un genetista russo, e la sua prima assistente Lyudmila Trut diedero il via a quella che possiamo definire come l’unico esempio pratico di domesticazione animale in tempi relativamente brevi (poche generazioni), in un ambiente controllato. In soli 30 anni hanno realizzato qualcosa che ha richiesto migliaia di anni agli uomini del passato.
Belyayev è morto nel 1985 ma l’esperimento è tutt’ora in corso.
Belyaev aveva letto con grande interesse il libro L’origine delle specie di Darwin ed era rimasto affascinato dai primi capitoli sulla domesticazione di piante e animali. Era animato da una profonda passione per la genetica, malgrado i tempi non facili del dopoguerra russo e le forti opposizioni del regime che perseguitava i genetisti mendeliani; infatti molti furono gli scienziati processati, arrestati e alcuni anche condannati perché sostenevano delle idee che non erano condivise dal governo di Stalin.
A dispetto di queste difficoltà, riuscì ad imbastire il suo eccezionale esperimento lontano da Mosca, in Siberia, precisamente a Novosibirik, dove fu esiliato come oppositore al regime, insieme al fratello Nikolay.
Belyayev, affascinato dal processo che aveva portato dal lupo al cane, decise di riprodurlo con un animale che non era mai stato addomesticato in precedenza. Insieme alla sua assistente si recò negli allevamenti di volpi argentate, una variante della volpe rossa nord-americana particolarmente aggressiva, in cui gli animali catturati venivano tenuti fino al momento della soppressione per poi essere spogliati della preziosa pelliccia. Le volpi normalmente sono aggressive e furono scelti con cura alcuni esemplari che mostravano un comportamento più docile nei confronti dell’uomo.
Inizia il programma di accoppiamento
Belyayev iniziò la sua sperimentazione partendo da un nucleo di 50 maschi e 200 femmine che vennero posti in condizioni di allevamento senza la presenza umana per evitare che i cambiamenti fossero dovuti alla familiarità con gli esseri umani. Anche la somministrazione del cibo avveniva in maniera tale che uomo e volpi non venivano mai in contatto.
Attraverso una attenta osservazione e seguendo un insieme di regole che sono valide ancora oggi, i ricercatori stilarono una classifica degli animali meno aggressivi e cominciarono a selezionare e far riprodurre solo gli animali che mostravano i caratteri più mansueti, per tentare di indurre un processo di domesticazione.
Nelle prime generazioni solo il 5% dei maschi e il 20% delle femmine furono scelti come riproduttori ma in breve tempo, incrociando solo animali mansueti, alla 20^ generazione l’elite riproduttiva si ampliò notevolmente e oggi, a più di 70 anni dall’inizio dell’esperimento, ben il 70% delle volpi appartiene a questo gruppo.
Effetti fisici e fisiologici
Ma ad entusiasmare i ricercatori furono una serie di imprevisti cambiamenti fisici e fisiologici.
Ben presto iniziarono ad apparire modificazioni tipiche della domesticazione:
- la depigmentazione del pelo, cioè variazioni cromatiche del pelo
- l’arricciarsi della coda
- le orecchie divennero “pendule”
- il muso si accorciò
- la dentatura si ridusse nelle dimensioni
- la calotta cranica divenne più arrotondata
Ma soprattutto, nonostante i protocolli non prevedessero contatti con l’uomo, gli animali alla sesta generazione si mostravano molto docili, tanto che si decise che la separazione dall’uomo non era più necessaria.
Le volpi non temevano il contatto umano ma addirittura lo cercavano, scodinzolando e emettendo uggiolii in presenza dei ricercatori, per attirare la loro attenzione. Questi comportamenti erano stati ottenuti senza alcun addestramento ma solo attraverso la selezione dei soggetti più mansueti.
Cambiamenti nei livelli ormonali
Accanto a queste caratteristiche macroscopiche, le misure dei livelli ormonali di questi animali testimoniarono una grossa diminuzione degli ormoni tiroidei e dei corticosteroidi, come il testosterone, tipici dell’aggressività e della paura.
Ad ogni generazione cresceva il numero di individui docili e alla tredicesima generazione più del 50% dell’intero gruppo di volpi possedeva tale caratteristica come innata.
Nel 2005, i ricercatori annunciarono che tutte le volpi presenti nel Centro di ricerca di Novosibirsk avevano sviluppato la propensione alla compagnia umana.
Questo esperimento è stato molto importante perché ha chiaramente mostrato che il numero di generazioni necessarie per indurre variazioni consistenti tramite selezione artificiale è molto più ridotto di quello che ci si potrebbe aspettare.
Sono state necessari 43 generazioni per passare da una volpe selvatica che subisce un forte stress causato dalla paura e dall’intolleranza verso l’uomo, a una volpe che accetta e riconosce come figura rilevante l’essere umano, facendo emergere comportamenti tipici dei cani, come lo scodinzolare, il guaire e abbaiare anche in età adulta. In questo modo gli animali delle ultime generazioni mostrano significative differenze dai loro antenati selvatici.
Conclusione
In sintesi, l’esperimento di Belyayev testimonia non soltanto che la domesticazione è un processo Bio-evolutivo riproducibile, ma anche che la selezione artificiale influisce sia sul comportamento che sui tratti fisici, come se queste due cose fossero collegate.
Belyayev successivamente tentò anche l’esperimento inverso. Furono ottenuti esemplari molto aggressivi nel comportamento ma stranamente non vi fu nessuna modificazione fenotipica dei soggetti rispetto alla condizione di partenza.
La domesticazione e la modificazione dei geni relativi non è ancora stata del tutto compresa dalla scienza, ma quando l’uomo addomestica un’altra specie animale, lo fa sempre con lo scopo di controllarla.
Da qualcuno abbiamo imparato?!!
PER APPROFONDIRE:
Pietro Buffa e, Mauro Biglino, Resi Umani
Archeomisteri di Agosto 2019
“Early Canid Domestication: The Farm-Fox Experiment” in American Scientist –Aprile 1999
https://www.americanscientist.org/article/how-to-tame-a-fox-and-build-a-dog