Si tratta del più antico annale regale fino ad oggi ritrovato in Egitto e uno dei più antichi documenti scritti al mondo, una fonte insostituibile di notizie. Sulle due facce di questa pietra in basalto sono incisi in scrittura geroglifica i nomi dei faraoni e i principali eventi succedutisi nei loro regni, dagli inizi della storia egiziana intorno al 3.200 a.C. fino alla metà della V dinastia, 2.400 a.C..
Si trova a Palermo (da cui pertanto prende il nome attuale) nel Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas, dove arrivò, come donazione, nel 1877 ad opera dell’avvocato palermitano Ferdinando Gaudiano, grande figura di patriota e collezionista, che lo portò in patria dal suo esilio egizio. Poco o nulla si sa di come la pietra fu acquisita prima di essere donata al museo, dai documenti d’archivio, appare chiarissimo come fra la fine dell’Ottocento e i primissimi anni del Novecento vari musei italiani e stranieri abbiano fatto carte false per ottenere la pietra per le proprie collezioni, senza però mai riuscirvi, a ragione di una stregua difesa dell’allora direttore del museo palermitano, l’archeologo Antonino Salinas, che si oppose sempre a qualsiasi ipotesi di cessione del manufatto.
I 7 Frammenti
La Pietra di Palermo è il frammento più grande (43 cm x 30 cm x 6,5 cm), sia come dimensioni che come importanza, di un’iscrizione realizzata su basalto olivinico di cui sono stati recuperati 7 frammenti, di cui 5 conservati al Museo Egizio del Cairo e uno, il più piccolo, al Petrie Museum di Londra.
Come per la Pietra di Palermo, anche nel caso dei frammenti del Cairo non sappiamo praticamente nulla della loro provenienza dal momento che i frammenti furono acquistati sul mercato antiquario del Cairo in un arco di tempo che va dal 1910 al 1963. Di almeno 3 di essi, i trafficanti di antichità riferirono agli archeologi del Museo che la provenienza era dal Medio Egitto, e precisamente dalla zona dell’odierna città di Minya, situata non lontano dal famosissimo sito di Tell el-Amarna, la città del faraone eretico Akhenaton, ma le notizie non sono mai state confermate.
Solo di uno di essi, il cosiddetto “Cairo Fragment 4” custodito al museo Petrie di Londra, si sa che fu trovato durante degli scavi effettuati nel 1912 in uno dei cortili, di epoca Ramesside, del tempio di Ptah a Memphis, l’odierna Mit Rahina. Si tratta, però, di un contesto non primario: il pezzo si trovava infatti insieme a materiale eterogeneo quanto a contenuto e datazione. Dunque, seppur non proveniente da un contesto antiquario, e seppur certamente più affidabile degli altri, anche questo frammento non ci dà una notizia certa riguardo al contesto originario del manufatto.
Secondo quanto riferito dagli antiquari, il frammento 1 del Cairo, fu reimpiegato per molto tempo come soglia di una porta, ed in effetti molta parte del testo geroglifico è andata perduta per sempre.
Sfortunatamente non tutte le informazioni storiche incise sui frammenti sono state finora lette e tradotte. La Pietra custodita a Palermo e in particolar modo il suo lato posteriore, chiamato convenzionalmente “Verso” è infatti piuttosto danneggiata e il testo geroglifico spesso illeggibile.
Le passate ricerche
La pietra è stato oggetto di vari studi in passato, a partire dal 1899, quando lo studioso tedesco Heinrich Schäfer ne ha curato la prima trascrizione e traduzione, includendo fra l’altro nella sua opera anche una prima riproduzione fotografica del manufatto. L’ultimo studio che ha considerato i frammenti tutti insieme risale invece al 2000, ad opera dello studioso britannico Toby Wilkinson. Ciò nonostante, la lettura del Verso della pietra risulta a tutt’oggi alquanto complessa e lacunosa dal momento che il Verso è particolarmente danneggiato (del tutto abraso in alcuni punti) e dunque non sempre leggibile con luci normali, e tanto meno ad occhio nudo.
Inoltre, non esiste ad oggi uno studio che includa, per tutti i frammenti, non solo un’analisi storica e filologica del testo scritto, ma anche una loro riproduzione fotografica e tridimensionale, nonché un’analisi geologica e/o petrografica dei frammenti, che sola potrebbe chiarire la loro appartenenza, in antico, ad un unico manufatto. Questo, per esempio, è stato messo in discussione in passato varie volte, e si è avuto persino qualche studioso che ha dubitato dell’autenticità stessa della Pietra di Palermo.
Un nuovo studio paleografico
Da circa un anno, l’egittologo Massimiliano Nuzzolo, dell’Università Carlo IV di Praga – coadiuvato dai colleghi Kathryn Piquette, della University College di Londra, e Mohamed Osman, della Free University di Berlino – ha iniziato un progetto di analisi del manufatto con le più moderne tecniche di documentazione fotografica, in particolar modo la fotogrammetria combinata con la “Reflectance Transformation Imaging” (RTI).
Questa tecnologia innovativa è una tecnica fotografica che utilizza la luce del flash da diverse angolature, allo scopo di orientare virtualmente la luce sulla superficie della pietra al fine di migliorarne l’incidenza e mettere così in evidenza le tracce dei geroglifici ormai cancellate dal tempo.
Grazie a questa tecnica i ricercatori hanno determinato che la Pietra di Palermo e il “Cairo Fragment 1” provengono dallo stesso documento e sono riusciti a leggere e tradurre la seconda riga del Verso del “Cairo Fragment 1”, riferita al faraone Sahura, successore di Userkaf.
Ebbene su questa linea, si fa riferimento ad eventi prima non conosciuti, come la fabbricazione (tecnicamente chiamata nel testo “nascita e apertura della bocca”) di 7 statue del faraone in rame asiatico, o la realizzazione di una spedizione alla ricerca del turchese.
La menzione del “rame asiatico” è unica, dal momento che il rame viene utilizzato e menzionato nei testi scritti almeno a partire dagli inizi del III Millennio a.C., ossia circa 500 anni prima del faraone Sahura, ma mai associato all’attributo asiatico.
Se ne deduce che gli antichi Egizi facevano spedizioni commerciali in Asia evidentemente in aree che non avevano mai esplorato prima del faraone Sahura, dal momento che usano questo attributo per la prima volta durante il suo regno.
Non va inoltre dimenticato il fatto che nello stesso periodo in cui in Egitto abbiamo la V dinastia, nella zona sud-anatolica, a ridosso delle odierne Turchia e Siria, vi sono una serie di realtà locali la cui ricchezza era basata proprio sul commercio del rame. Gli Egizi della V dinastia avevano sicuramente rapporti con il grande porto di Byblos, che non è poi così lontano dall’area in questione. Da lì questa nuova varietà di rame potrebbe dunque essere transitata verso la terra del Nilo.
In entrambi i casi siamo ovviamente nel campo delle ipotesi, ma quello che è interessante è che su uno dei frammenti del Cairo siano attestate spedizioni commerciali per procurarsi i materiali prima menzionati.
La terra di Punt e i Campi di Ra
Grazie alla nuova tecnologia RTI è stato possibile anche evidenziare sulla Pietra di Palermo (Verso) l’iscrizione geroglifica con la prima menzione della terra di Punt, oltre che sui rilievi del complesso funerario del faraone Sahura ad Abusir. Dove sia collocata Punt esattamente non è mai stato appurato, anche se pare che l’area sia da rintracciare nella vasta zona del corno d’Africa, che faceva probabilmente da centro catalizzatore sia delle risorse locali che di quelle provenienti dall’area sud-arabica.
Da notare che nel complesso funerario del faraone Sahura ad Abusir è scritto che Sahura è colui che fa intraprendere una spedizione commerciale nella lontana, e ancora largamente sconosciuta, terra di Punt, alla ricerca principalmente dell’incenso, fondamentale elemento dei rituali di culto della civiltà dei faraoni.
Questo ci dà ancora una volta l’idea del valore storico eccezionale ed unico della Pietra di Palermo, oggi ulteriormente confermato dall’analisi dei relativi frammenti del Cairo – ci informa l’egittologo Nuzzolo e incalza – continuando la nostra lettura del testo geroglifico del “Cairo Fragment 1” abbiamo trovato la probabile menzione (il testo è frammentario) del tempio solare del faraone Sahura, chiamato “I Campi di Ra”.
Il tempio solare di Sahura non è mai stato trovato e alcuni studiosi in passato hanno persino ipotizzato che non sarebbe mai stato attivo, dal momento che il tempio è menzionato solo nei testi autobiografici di due funzionari della V dinastia. La citazione sul frammento del Cairo – dunque un testo ufficiale della cancelleria regale – va invece a confermare che il tempio fu realmente costruito e funzionò e aspetta solo di essere scoperto dagli archeologi.
Una grossa parte del lavoro è fatta – ci informano i ricercatori – non ci resta che pubblicare il tutto per la comunità scientifica. Dire però che abbiamo risolto tutte le questioni relative alla pietra sarebbe assolutamente fuorviante. Come abbiamo visto i quesiti aperti sono ancora tanti e alcuni anche parecchio complessi, a partire dalle vicende storiche che circondano l’arrivo della Pietra a Palermo, su cui ancora sto lavorando con ricerche su documenti d’archivio e su cui spero di poter avere ulteriori novità in un prossimo futuro.
Fonti:
– Articolo di Paolo Bondielli “L’indagine (quasi) conclusiva sulla Pietra di Palermo” (https://mediterraneoantico.it/articoli/news/dal-museo-salinas-ad-altre-prestigiose-sedi-museali-lindagine-quasi-conclusiva-sulla-pietra-di-palermo/)
– https://mediterraneoantico.it/articoli/news/la-storia-dell-antico-egitto-al-museo-salinas-indagini-scientifiche-sulla-pietra-di-palermo/